L’estate è ormai nel suo pieno e per molti americani o turisti in America, almeno stando all’immaginario comune regalatoci dai film, significa solo una cosa: viaggio on the road. Quando si viaggia in auto per molte ore e molte miglia, le aree di sosta sono il luogo ideale dove sgranchirsi le gambe, mangiare, rinfrescarsi e rispondere a tutte le mail ed i messaggi arrivati durante il tragitto. Per la sua serie, “Passages II: Rest Areas” Nicolò Sertorio, fotografo di Oakland ma di chiare ed evidenti origini italiane, focalizza l’attenzione proprio sulle aree di sosta in gran parte abbandonate ed inutilizzate.
Costruite agli inizi degli anni Sessanta, le aree di sosta fanno parte della rete stradale automobilistica interstatale americana.
Sono attualmente gestite dal dipartimento dei trasporti dei singoli Stati, ed è questo il motivo per cui appaiono diverse tra loro per filosofia, design e grado di manutenzione. Col passare del tempo, sono state rimpiazzate dalle stazioni di erogazione carburante e dalle catene di bar-ristoranti e oggi, a causa della diminuzione del transito automobilistico privato e dei finanziamenti statali, sono poco usate e in stato di abbandono. Avendo perso la loro funzione, queste aree restano come forme vuote, simmetrie che sembrano voler controllare la natura secondo la vecchia ideologia di conquista del territorio. E così simmetrie, vuoti, bellezze, ci appaiono come un confronto insensato con lo sconfinato paesaggio.
Questa serie è il prosieguo naturale del precedente lavoro di Sertorio, “Passages I: The Road”, che esplora la natura attraverso il tempo passato alla guida di una automobile.
È durante i vari viaggi in giro a scattare per lavoro che ho iniziato ad innamorarmi dell’iconografia di queste vecchie aree di sosta, rendendomi sempre più conto di quanto queste stiano lentamente scomparendo.
Una sorta di esplorazione nell’esplorazione, una scoperta di posti sospesi nello spazio e nel tempo, un qualcosa che vale la pena di conservare nella propria memoria. Tasselli di un passato tanto lontano quanto incantato che si confrontano con paesaggi sconfinati senza per questo scomparire. Per l’appunto.