Artwort intervista Romolo Calabrese, fondatore di RRC studio architetti a Milano, nel 1999, con una sede a Cap D’Ail dal 2003. Dal 2011 promuove il dibattito sulla città contemporanea con la rivista STUDIO Architecture and Urbanism magazine. Abbiamo parlato degli ultimi progetti in Oriente e delle possibilità offerte da un territorio che ha bisogno di architettura per rappresentare lo slancio vitale di questi anni d’oro.
L’abbondanza di risorse umane e materiali hanno spostato l’interesse globale in questa direzione: il Qatar, con un secolo di estrazioni di petrolio, è il Paese più ricco del mondo con 4000 milionari su una popolazione di 300000 abitanti. Le città, come la Despina calviniana, si confrontano con il vuoto immenso che le circonda.
I progetti in Qatar e in Cina. Come li ha formulati RRC studio?
Posso dire che oggi, nel fare questo mestiere, è inevitabile confrontarsi con le radicali trasformazioni urbane in atto nel mondo.
Abbiamo semplicemente messo a disposizione la nostra esperienza e soprattutto la nostra credibilità, devo dire inizialmente con non poca difficoltà, considerando le diverse culture di questi paesi impressionati dal “fare” occidentale, ma chiusi e diffidenti; una volta superato questo ostacolo, ciò ci ha permesso di lavorare con operatori stranieri su progetti di inimmaginabile sviluppo in Europa.
L’Expo 2020 si terrà a Dubai, i mondiali di calcio del 2022 in Qatar. Cosa potrebbero portare gli investimenti in Medio Oriente?
Nel prossimo futuro del Medio Oriente, dove gli interessi e le trasformazioni in atto sono già numerose, questi eventi daranno ulteriore linfa alla inarrestabile crescita urbana di questi paesi.
Il rovescio della medaglia è che tali manifestazioni sono un grande circo mediatico, prive di interesse, di utilità per la collettività ospitante; Questi eventi, tanto attesi, arrivano – invadono – scappano, lasciando una scia di macerie. Perlomeno è successo fino ad oggi. Forse questi Paesi riusciranno ad affrontarli diversamente.
Il tema della città di fondazione: i centri che si affacciano sulla costa occidentale del golfo Persico sembrano essere un fertile terreno di sperimentazione.
Sicuro. Viviamo un momento di grandi opportunità progettuali. Nuovi stimoli, nuove culture da studiare. Bisogna però che tutto ciò possa coinvolgere operatori illuminati, sensibili al territorio e all’identità dei luoghi.
In che modo RRC studio ha affrontato il progetto del masterplan Al Dhakira e quali sono le invarianti legate al territorio?
Nel lavorare a questo progetto, difficoltoso sotto tutti gli aspetti organizzativi, il primo ostacolo è stato la mancanza di un vero e necessario programma funzionale. Una volta somatizzata la mono-richiesta indirizzata esclusivamente alle quantità di m3 realizzabili, si è cercato di immaginare prima ancora del costruito: le piazze, le strade, gli spazi pubblici, gli spazi privati, i vuoti, l’architettura delle relazioni.
Con le nuove costruzioni, seppur destinate principalmente a forestieri, abbiamo voluto rispondere tipologicamente e formalmente alle esigenze locali, con una attenzione particolare alle energie rinnovabili presenti, il sole, l’acqua e il vento. Le immagini pubblicate del progetto descrivono prima di tutto i luoghi, il tessuto, la maglia aggregativa, ciò che definisce l’intervento una città.
“Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone; e così il cammelliere e il marinaio vedono Despina, città di confine tra due deserti.”, così Calvino descrive Despina ne “Le Città Invisibili”, ma sembra comprendere in poche righe la condizione di tutte queste città mediorientali. Quali sono le potenzialità nella relazione del costruito con il vuoto indefinito e con gli elementi primari della natura?
Nell’affrontare un progetto nuovo, la prima cosa che faccio è la ricerca dell’odore – del luogo – ciò che lo rende unico, ciò che caratterizza la sua identità, la sua anima, prima ancora del suo corpo, del suo costruito. Nel caso di Al Dhakira, le potenzialità sono state le sue presenze inviolabili: la riserva naturale, le mangrovie, il deserto, le differenze, le distanze, i margini, la luce e i colori. Da ciò ho costruito nella mente la mia città invisibile e così la nuova Al Dhakira.
Nel commercial district di Al Dhakira il tema dominante sembra essere il controllo della luce e dei venti con la forma architettonica, esiste una relazione con l’architettura tradizionale? Come funzionano gli spazi pubblici?
La sensazione che si ha in questi luoghi è la forte presenza dell’elemento natura: ti senti un ospite e, come tale, devi rispettare e confrontarti con ciò che già esiste. Nell’analizzare le architetture indigene ci siamo resi conto di quanto fossero importanti la luce ed il vento; come queste energie, durante tutto l’arco della giornata, si rapportassero con il volume costruito.
L’area commerciale-direzionale si caratterizza grazie ad un elemento principale che definisce tutti i volumi progettati; una pelle modulare costituita da una struttura in acciaio e un sofisticato sistema di piastrelle circolari in ceramica. Questa soluzione, attraverso l’uso di sistemi tecnologici integrati, permette il controllo della luce naturale e della ventilazione all’interno di tutti gli ambienti.
La forma e la disposizione degli edifici generano uno spazio urbano chiuso, una sorta di grande piazza costruita intorno al nuovo centro sportivo dove il complesso commerciale si affaccia con ampie aperture porticate. Ogni singola costruzione, composta da diversi livelli, è un contenitore di attività commerciali e ricreative. Completano l’intervento il cinema, la biblioteca, gli spazi espositivi, una piazza coperta con bar e ristoranti.
Passiamo alla Cina. In una recente intervista un giovane architetto ci ha raccontato del “gigantismo progettuale” cinese. Come si gestisce un progetto di queste dimensioni?
La Cina, e aggiungerei anche tutto il sud est asiatico, Thailandia, Vietnam, Myanmar ecc… viaggiano ad una velocità impressionante di crescita e di sviluppo in tutti i settori. Nel nostro mestiere ciò che sta avvenendo, salvo in pochi casi di – attenta – Architettura, è un appiattimento culturale, una rincorsa ad un modello urbano occidentale lontano dalle tradizioni non riconoscibile e non riconosciuto.
Ritengo che non sia mai un problema di come gestire un progetto, quanto piuttosto la scarsa preparazione degli operatori coinvolti molto spesso privi di un interesse collettivo, di sensibilità, di quella cultura necessaria per comprendere la responsabilità che abbiamo nel disegnare aree di territorio vastissime per un fruitore che deve recepire forse un nuovo modello di abitare.
Il progetto del quartiere residenziale di Pudong, distretto di Shanghai, ricorda formazioni montuose e valli naturali. Come si struttura il progetto?
Quello che abbiamo fatto a Pudong è stato principalmente promuovere il senso di vicinanza e di comunità. Il progetto si estendeva su una vastissima area di 450.000 mq circondata da attività di supporto alla residenza e da aree comuni di socializzazione.
Inizialmente era prevista la realizzazione di volumi disposti tra di loro paralleli sul lato più lungo del lotto; tale disposizione avrebbe generato dei vuoti urbani immensi e indistinti. Si è cercato quindi di intervenire su questo schema inadeguato disegnando planimetricamente ogni edificio in diverse direzioni e scomponendo così la linearità del corpo edilizio. Ciò ha permesso una visione prospettica dei vuoti sempre diversa con la creazione di spazi collettivi separati e proporzionati per le attività previste. In altezza gli edifici del complesso si diradano a gradoni disassati in modo da permettere una maggiore distanza fra di loro e così una profonda visuale nelle diverse direzioni.
La Xiang River Tower a Changsha si articola in altezza con tipologie e funzioni diverse. Come si intersecano i vari programmi e come si inserisce la torre nello skyline?
L’idea progettuale di questo intervento nasce dalla sovrapposizione di più volumi destinati alle macro funzioni previste. In questo modo si vengono a creare degli spazi vuoti che permettono la collocazione di tutte quelle attività comuni al complesso. Un rivestimento in acciaio, con il suo disegno di facciata di chiari riferimenti alla tradizione cinese, racchiude e riordina in un parallelepipedo i suddetti volumi.
L’intervento è situato nei pressi del fiume Xiang, in una zona privilegiata del centro della città, che domina tutto l’orizzonte tanto da diventare un punto di riferimento e una forte presenza elegante nello skyline. Le funzioni previste nella torre sono molteplici: al piano terra una lobby open space racchiude, oltre ai sistemi di collegamento verticale, tutte quelle attività collettive come l’auditorium, i ristoranti, le palestre, la reception dell’albergo e gli ingressi riservati agli uffici e alle residenze. La torre si anima in una complessa distinzione di percorsi. L’albergo si sviluppa sui primi dieci piani dell’intervento, la parte centrale è occupata dagli uffici privati, i piani soprastanti sono destinati agli appartamenti panoramici. Gli ultimi livelli sono occupati da attività di benessere e intrattenimento. Alla base l’intervento si estende con un parco pubblico nella città.