«Non sono nata qui, ma ho scelto questo Paese per viverci. Ecco perché il Brasile è due volte il mio Paese»
Così Lina Bo Bardi, ideatrice della Bowl Chair, architetto italiano nata cento anni fa e naturalizzata brasiliana, parla della sua seconda patria, per cui ha contribuito alla nascita del modernismo.
A partire dal 1946, anno del suo trasferimento insieme al marito, Pietro Maria Bardi, dà il via alla sua carriera in terra carioca, la prima opera realizzata fu la Casa de Vidro, a seguire la seconda sede del MASP nel 1957 e nel 1977 il SESC Pompéia.
Quest’ultimo rientra in un progetto sociale di rilevanza nazionale, infatti il SESC (Serviço Social do Comércio – Business Servizio Sociale) un ente no-profit brasiliano, si prefigge lo scopo di garantire delle strutture adeguate per la pratica di sport e attività culturali per abitanti meno abbienti, apportando dei cambiamenti importanti al contesto in cui questo complesso sistema si inserisce.
Il SESC, per il quale Lina Bo bardi è stata chiamata ad intervenire in collaborazione con Marcello Ferraz, Andre Vainer, Antonio Carlos Martinelli e Luis H.De Carvalho, era una vecchia industria di fusti metallici, la “Mauser & Cia Ltda”.
Dopo anni di abbandono, nel 1968, si decise di trasformare questo ambiente in un attrattore sociale, una piccola cittadella del tempo libero.
A Lina Bo Bardi fu assegnata nel 1977 la ristrutturazione del complesso di 16.000 mq dopo anni dall’apertura. Gli interventi sulla fabbrica, dettati dal clima del luogo, sono calibrati dall’architetto nel rispetto della convivialità e della socialità alla base dell’operazione SESC. La stessa Bo Bardi ne esaltava il ruolo di contenitore del tempo libero, fondendo questo aspetto a quello architettonico, lo si nota dalla quasi maniacale voglia di progettare tutto per la vita di questo centro, a partire dall’architettura fino a giungere agli arredi e alle divise delle squadre.
Il centro pensato come un’oasi all’interno del degrado, ha diverse attività, ospitate nei capannoni già presenti ed incrementate del sapiente lavoro della Bo Bardi: vi è un teatro di 800 posti, un ristorante, una birreria, una biblioteca, una grande area ricreativa e ludica. Ad accogliere queste attività sono i grandi capannoni, di cui sono rimaste le capriate di 14 m di luce e la muratura esterna, i tramezzi interni, nel progetto, vengono eliminati in favore di ambienti unici e conviviali, lo si spiega dall’affermazione della progettista:
“Architettura per me è vedere un vecchio o un bambino con un piatto pieno di cibo che cammina con eleganza in tutto il nostro ristorante, alla ricerca di un posto per sedersi a un tavolo comune”.
Agli edifici esistenti, Lina accosta delle torri in cemento armato, che si allontano dal linguaggio architettonico presente sull’area ma che si avvicinano al concetto di archeologia e patrimonio industriale. Infatti anche se di nuova edificazione le torri ricordano dei silos, collegati da passerelle.
Si tratta di tre elementi, di cui due a base prismatica e un cilindro di maggiore altezza e minore diametro. La forte verticalità fu determinata sia dalla volontà dell’architetto di riprendere dei caratteri tipologici dell’architettura industriale, sia per ragioni di spazio.
I primi due ospitano il centro sportivo: uno più massivo, con aperture irregolari di cinque piani, ospita palestre e piscina, l’altro di undici piani con aperture quadrate, è sede di sale da ballo, palestre, bar e spogliatoi. I due corpi di fabbrica sono collegati da passerelle scoperte. Il terzo elemento, la torre di 17 metri, la più alta, contiene il serbatoio dell’acqua per l’intero complesso.
Il merito di Lina Bo Bardi è stato quello di aver saputo sapientemente amalgamare le questioni sociali a quelle architettoniche, regalando alla città una porzione di territorio ormai caduta in disuso, reintroducendo all’interno del centro la vita pubblica della città stessa e rendendo il SESC una città diversa dalla città in cui sorge.