La Biennale di Architettura di Rem Koolhaas assume come proprio titolo Fundamentals: una Biennale che, stando alle parole del direttore, tiene le distanze dalla prepotente figura dell’architetto e torna a rivolgere l’attenzione all’architettura, sviscerata nei “fondamenti” ̶ o fondamenta ̶ che la compongono: porta, finestra, muro, facciata, tetto.
L’intento è quello di ripercorrere gli eventi che negli ultimi 100 anni hanno progressivamente portato ad una rinuncia stilistica in favore di un appiattimento dei propri elementi, ormai privi delle caratterizzazioni, che distinguevano le tecniche costruttive di ciascun paese.
In un panorama spesso confuso e frenetico, assoggettato ora a strutture high-tech indifferenti al contesto ora a scellerate espansioni nutrite da interessi speculativi, la risposta viene ricercata in una sorta di processo psico-analitico che indaga le proprie radici e dunque le origini del malessere: un’esigenza di retour à l’ordre come si era già manifestata con la scorsa Biennale d’Arte Il Palazzo Enciclopedico diretta da Massimiliano Gioni.
Ma laddove l’approccio di Gioni era quello di una miscellanea di saperi accatastati senza un vero e proprio ordine, Fundamentals mette in atto una narrazione basata su criteri precisi, per cui il visitatore si sente talvolta come se si trovasse all’interno di un grande museo delle Storie dell’Architettura, piuttosto che ad una biennale.
Il titolo dell’esposizione è a sua volta tradotto in tre sottotitoli:
Absorbing Modernity è il tema che i 66 paesi partecipanti hanno interpretato attraverso i rispettivi padiglioni: come dal 1914 ̶ scoppio della prima guerra mondiale ̶ al 2014 ciascuna nazione ha assorbito l’ideologia e il linguaggio dell’architettura contemporanea, in luogo delle tradizioni locali. Se alcuni padiglioni sono forse un po’ irrigiditi nelle storicizzazioni, emergono tra loro quelli che hanno saputo con brillantezza offrire una lettura del passato inteso come punto di partenza per ciò che si proietta nel futuro. La Korea del Sud curata dal fondatore di Mass Studies Minsuk Cho, per esempio, si è meritata il Leone d’Oro per la miglior partecipazione grazie ad un progetto ambizioso e non privo di difficoltà, che per la prima volta tiene assieme il passato comune di entrambe le Koree, immaginando le potenzialità di una riconciliazione.
Con Elements of Architecture il Padiglione Centrale esplora invece genealogie e mutazioni delle singole componenti costruttive dell’architettura, frutto di un lavoro di ricerca condotto da Rem Koolhaas stesso con AMO, unità di ricerca interna al suo studio, e con gli studenti della Harvard School of Design.
Le Corderie dell’Arsenale ospitano Monditalia: un excursus sul territorio italiano che ripercorre da sud a nord i casi studio emblematici dello stato attuale del paese in termini di paesaggio, architettura, condizioni sociali. L’allestimento, organizzato in maniera semplice ed omogenea, permette stavolta sia la percezione della struttura delle Corderie, sia il giusto equilibrio nella quantità di contenuti e quindi la possibilità di visitare la mostra senza avvertire quell’affaticamento che deriva di solito dall’eccesso di contenuti e dalla scarsezza di momenti di sosta lungo il percorso. Lo spazio è interamente attraversato da una gigantesca “tavola peutingeriana”, una copia del XII-XIII secolo di un’antica carta romana che mostrava le vie militari dell’impero, inserita dall’UNESCO nell’Elenco delle Memorie del Mondo. La mappa articola gli ambienti in due parti, una occupata da ciascun espositore, liberamente inserito all’interno di uno spazio definito dallo spessore delle grosse colonne che reggono le capriate, l’altra scandita da una serie di schermi che si collegano con una linea tratteggiata sul pavimento a ciascun progetto, al quale associano, a mo’ di commento, due film del cinema d’autore italiano e internazionale.
I casi studio presentati sono 42, curati in gran parte da giovani architetti nati tra gli anni ’70-’80, in maniera tale da offrire un approccio fresco ed attuale alle tematiche affrontate.
I progetti sono a loro volta intervallati da strutture che accolgono workshop, conferenze e performance che per la prima volta coinvolgono assieme la biennale d’architettura con le sezioni di teatro, danza e musica, oltre al cinema, richiamato dall’installazione di schermi e proiezioni.
Rem, sotto sotto un po’ padre padrone, testa imperante col diritto di veto sull’intera organizzazione, mette in scena il paradosso di una biennale dell’archistar, senza le archistar.