C’è chi la chiama utopia e chi semplicemente Seasteading.
È un’idea che nasce alla fine degli anni ’90 per divenire rivoluzione dal 2008, anno in cui viene fondato il Seasteading Institute con l’obiettivo di “realizzare cose folli in un modo che non sia folle”.
La “follia” in questione è intrinseca nel termine Seasteading che richiama al profumo del mare ma con un pizzico di anarchia, quanto basta per generare questioni legali non indifferenti. I neologismi composti scatenano curiosità e la fusione tra ‘sea’ (mare) e ‘homesteading’ (reclamare una proprietà per viverci in modo indipendente), oltre ad esprimere correttamente il concetto, porta a sognare isole artificiali anarchiche per i più libertini e paradisi politico-fiscali per i multimilionari desiderosi di un pezzetto di “isola che non c’è”.
Wayne Gramlich e Patri Friedman hanno ideato il Seasteading Institute per finanziare l’homesteading in alto mare e promuovere la creazione di comunità autonome. Il fallimento delle prime iniziative non ha scoraggiato i due fondatori che, attraverso l’istituzione di nuove startup, continuano a perseguire la loro eccentrica idea. Gramlich, prima ingegnere Google, e Friedman, ex programmatore di Sun Microsystem, presentano un eccellente curriculum da businessmen ma il loro fiuto per gli affari farà centro anche questa volta? I due imprenditori per adesso ci mettono i soldi e la faccia, in un progetto che entro il 2020 dovrebbe portare alla realizzazione della prima floating city.
Il tema della città sull’acqua stimola alla stravaganza ma soprattutto all’ingegno e forse è proprio questo il suo grande merito. Il mondo dell’architettura, per lo meno la sua parte più disinibita, ha prodotto negli ultimi anni numerosi prototipi di “casa galleggiante”. Navi da crociera modificate su progetto della Freedom Ship International o piattaforme petrolifere dismesse da attrezzare nell’idea vincitrice del Seastead Design Contest ma la più grande iniziativa finora proposta è “Techtopia”: le isole artificiali di Peter (Pan) Thiel. Il multimilionario fondatore di PayPal finanzia un progetto che sperimenta nuove forme di governo e tecnologie d’avanguardia. Le isole, simili a piattaforme petrolifere nella struttura, dovrebbero essere energeticamente autosufficienti e trovare posto oltre le 200 miglia dalla costa californiana, distanza sufficiente per essere soggette alla sola regolamentazione delle acque internazionali.
In merito, a ben guardare, si rintracciano precedenti storici già nel 204 a. C. quando, ad opera dei Tholomei, venne realizzata la Thalamegos: una nave da crociera sul Nilo pensata come abitazione temporanea dei sovrani egizi. In epoca romana l’imperatore Caligola, un uomo “strano” tanto da arrivare a nominare senatore il suo cavallo, fece costruire grandiosi palazzi galleggianti comprensivi di stabilimenti termali noti come le “navi di Nemi”. Nel 1871 Jules Verne racconta in “Una Città Galleggiante” la traversata dell’Atlantico a bordo della nave Great Eastern che ospitava una vera e propria comunità indipendente. I rivoluzionari anni ‘60 hanno visto il susseguirsi di numerosi tentativi per il riconoscimento di micro-nazioni come il Principato di Sealand.
I precedenti ci sono. Tuttavia ciò che si tenta di fare oggi di “micro” ha ben poco. Oltre alle problematiche giuridiche che inevitabilmente si porranno con la realizzazione di tali complessi residenziali, sia in ordine alla nazionalità che alla forma di governo, le grandi questioni da risolvere saranno rappresentate dalla reperibilità di fonti energetiche, dalla resistenza di strutture semipermanenti in alto mare e dal loro grande impatto ambientale.
Cose da sapere entro il 2020 per scegliere da che parte stare, scettici criticoni o convinti investitori:
– The Floating City Project Report
– DeltaSync’s Design & Feasibility Report
Basterà anche solo porsi il problema (se esiste) e riflettere, con i piedi per terra questa volta.