Con la solita ironia dissacrante che non conosce limiti neanche di fronte ai più grandi tabù della nostra civiltà – morte, deiezione, sesso – Maurizio Cattelan, in collaborazione con Myriam Ben Salah e Marta Papini, ha curato l’edizione 2014 di One Torino, intitolandola Shit and Die. Tratto dall’opera di Bruce Nauman One Hundred Live and Die, il titolo della mostra potrebbe riassumere tutta la poetica cattelaniana: scioccare con l’ovvio e il banale. Questo è l’obbiettivo che Cattelan raggiunge anche nella sua nuova veste di curatore.
Ognuna delle stanze, un tempo abitate dal Conte Cavour, costituiscono un tassello nel percorso narrativo proposto da Cattelan e dalle due giovani curatrici. Cogliendo e rappresentando singoli punti significanti, viene rappresentata la città di Torino sotto forma di costellazione.
Le sezioni in cui si snoda la mostra restituiscono lo spettro delle rifrazioni della città venute fuori dalle menti prismatiche dei tre curatori. Sessantuno artisti: italiani e internazionali, emergenti e affermati, viventi e non, sono stati coinvolti nel progetto espositivo. La città: immagini, luoghi, contraddizioni, divengono un pretesto per spingersi oltre i confini geografici e tematici.
La mostra apre con la gigantesca opera di Eric Doeringer, The Hug. Il denaro, sterco del demonio, è esposto in tutta la sua invadenza: 40 mila banconote da un dollaro tappezzano le pareti delle scale di Palazzo Cavour.
L’artista camerunense Pascale Marthine Tayou propone una rivisitazione del mercato di Porta Palazzo, nella prima stanza della mostra.
Nella sezione The Assembly Line Of Dreams, la ricostruzione degli interni di una delle abitazioni progettate da Isola e Gabetti su commissione di Olivetti per i suoi dipendenti, utilizzando i mobili originali, si “affaccia” su Soundtrack di Guy Ben-Ner, la assurda e tragicomica rivisitazione del film La guerra dei mondi di Spielberg. Il razionale funzionalismo utopico delle architetture degli interni di Isola e Gabetti, è posta ironicamente a confronto con il razionale funzionalismo Ikea. L’opera di Davide Balula, The buried works,una fossa comune in stile Ikea, costituisce il passaggio alla sezione Aldologica, “mostra nella mostra”, dedicata interamente all’artista torinese Aldo Mondino. Tappeti appesi e la Torre di torrone sono le opere presenti.
Carlo Mollino, altro artista simbolo della città di Torino, è il protagonista della sezione Double Trouble. La serie delle sue Polaroids, che ritraggono corpi femminili, nudi e in posizioni provocanti, bruscamente interrotta da Dorina di Carol Rama, viene messa in relazione ad opere delle artiste femministe Lynda Benglis o Dorothy Iannone che mirano ad emancipare, anche violentemente, il corpo femminile dall’immaginario erotico maschile.
I ritratti dei divi torinesi: Rita Pavone, Del Piero, Fassino, Travaglio, Lapo Elkann, Don Ciotti, Boetti sotto lo sguardo attento dello scheletro del Professor Giacomini, in prestito dal Museo di Anatomia Umana “Luigi Rolando” di Torino di cui è stato fondatore, costituiscono la sezione In Event Of Moon Disaster. Successivamente la piccola stanza ricoperta interamente dai dipinti murali di Stelios Faitakis, che riproduce in stile bizantino, tre eventi della storia torinese: l’ultima manifestazione di Lotta Continua, i lavori del traforo del Frejus e la perdita di senno di Nietzsche.
Segue Bite the dust. La monumentale forca, utilizzata a Torino per le esecuzioni capitali, troneggia al centro della stanza con tutta la sua macabra maestosità.
Dalla forca si passa allo studio di Cavour, interamente ricoperto di cellofan trasparente. Fetish: la plastica, con il suo forte odore, con la sua lucida trasparenza, con il cigolio provocato dalle scarpe, oltre a preservare accuratamente mobilio, pareti, pavimento e suppellettili, crea una atmosfera di perversione, in quello che dovrebbe essere un luogo estremamente serioso, quasi sacro (è la stanza nella quale Cavour ha lavorato per l’unità d’Italia!). Il solenne ritratto ad olio di Camillo Benso Conte di Cavour, diventa il ritratto di un voyeur, le immagini del cui desiderio, la sua stravagante cugina Contessa di Castiglione, sono sparse sulle quattro pareti della stanza.
In Dead Man Working, l’auto distrutta, con all’interno uno strumento che lentamente la accartoccia, chiaro riferimento alla realtà industriale torinese, è circondata da decine di metronomi in funzione, che riempiono la stanza di un frastuono meccanico. Le due opere di Martin Creed e Florian Pugnaire e David Raffini non possono non indurre a riflettere sulla inesorabile caducità del corpo, meccanico o umano, e sull’inarrestabile scorrere del tempo, per la maggior parte sacrificato al lavoro.
6 novembre 2014 – 11 gennaio 2015