Kara Walker nasce in California nel 1969 e all’età di tredici anni si trasferisce con la famiglia in Georgia, stato in cui fu attuata una durissima politica di segregazione razziale che ha segnato profondamente la sua formazione artistica: da afroamericana si è fatta portatrice di ogni infamia che persone di colore come lei hanno dovuto subire a causa della schiavitù.
Si tratta di immagini crude, caustiche, aggressive e all’occorrenza inquietanti di una realtà che con rabbia porta alla luce per far sì che non venga dimenticata. E per adempiere a questa missione utilizza una tecnica che rappresenta quella che è l’essenza del proprio lavoro; parliamo di sagome nere ritagliate in carta su fondo bianco, o viceversa, per rendere l’idea di un corpo svuotato, di una silhouette priva di ogni caratterizzazione fisica che lascia soltanto spazio ad un senso di vacuità assoluta.
La Walker riprende la tecnica delle sagome di carta da un abituale passatempo delle mogli dei proprietari terrieri bianchi degli Stati Uniti d’America negli anni precedenti la Guerra Civile (1861-1865). Mentre le suddette solevano trascorrere il tempo ritagliando appunto sagome, intere famiglie, uomini, donne e bambini erano, loro malgrado, protagonisti di uno dei capitoli più tristi della storia dell’umanità: la schiavitù.
L’artista si serve dei classici stereotipi etnici e razziali andando ad inserire caricature di schiavi e padroni in scene di violenza caratterizzate da uno sfondo sessuale per raccontare temi legati al razzismo e al sessismo. Il motivo di tale denuncia risiede nella convinzione che questi ultimi siano ancora attuali ed influenzino i comportamenti del popolo americano. Sovvertendo il fine ozioso di una pratica utilizzata come hobby, Kara Walker racconta, con palpabile dolore, storie di razzismo, potere, repressione, sottomissione, sessualità, violenza, identità, schiavitù, servendosi di sagome senza volto che hanno decretato la sua fama a livello mondiale.