Un mezzo per creare reazioni sconcertanti e destare l’attenzione dei passanti: è ciò che fa Mark Jenkins con le sue opere. Artista di strada, realizza delle sculture con sembianze umane lasciandole interagire con la folla. I suoi prototipi umani, posti sui cigli o nel mezzo delle strade di tutte le città del mondo, hanno come scopo quello di provocare la reazione spontanea degli spettatori involontari.
Sono loro infatti i veri protagonisti delle immagini che l’artista statunitense immortala a testimonianza dell’interazione delle sue opere con il contesto urbano. La sua è una critica alla vita quotidiana e a quella società dello spettacolo che Guy Debord descrive come “il capitale umano talmente accumulato da divenire immagine”. Gli interventi di Mark Jenkins diventano immagini usate per evidenziare gli effetti specifici dell’ambiente sulle emozioni e sui comportamenti individuali, lasciando le sue istallazioni dialogare con la noncuranza, l’indifferenza, ma spesso anche con l’opportunismo della gente che si appropria dei vestiti delle sue sculture non appena intuisce siano dei manichini.
Da quando la Street Art da atto vandalico è divenuta “museo a cielo aperto”, gallerie, case d’asta e collezionisti fanno a gara per averne un pezzo. Ciò la depaupera di tutto il suo significato e questo perché l’arte urbana nasce come esplorazione e percezione del territorio attraverso quella che i Situazionisti chiamerebbero “derive” e “détournement”: deviare immagini e avvenimenti verso punti di vista, interpretazioni e situazioni sovversive creando delle ambientazioni. Le istallazioni di Mark Jenkins, come tutto il filone cui appartiene, non sono destinate a Fiere o Gallerie d’arte dove vengono private di tutto il loro significato. Eliminare dallle opere di Mark Jenkins la reazione del pubblico significa, infatti, privarle di tutta la loro ironia e la loro irriverenza.