Nell’era 2.0 la rete è un elemento fondamentale della nostra quotidianità così che, anche gli ultimi “dinosauri”, cementificati nel proprio immobilismo romantico, si sono dovuti aprire all’utilizzo di internet e dei social network in versione web quanto in mobile.
In questa esplosione digitale che ruolo giocano le “roccaforti” della cultura?
Oggi i musei, e più in generale le istituzioni culturali, sentono la necessità di essere sul web, di essere social, nello stesso modo in cui lo sono i politici, le star e le case di moda.
Questa presa di consapevolezza segna una svolta epocale nel modo di intendere i musei, nel modo di fruire i loro contenuti ed implementerà notevolmente la loro natura di contenitori di cultura. Solo attraverso il digitale, infatti, può concretizzarsi il passaggio da museo, quale fautore di tutela, preservazione e valorizzazione, al museo centro nevralgico di una valorizzazione globale che coinvolge il potenziale fruitore in un rapporto bilaterale fatto di mutui scambi.
Sarà proprio il web, accompagnato dal suo fidato braccio armato, il social network, a cambiare l’idea stessa di museo, sia nell’immaginario collettivo, sia a livello architettonico e museografico.
Dobbiamo cominciare ad immaginare il museo del futuro, al di là dell’involucro architettonico, come un museo social, che sfruttando tutti i canali digitali regalerà al visitatore un’esperienza totalizzante. Vi troveremo postazioni touch, o dispositivi mobili attraverso i quali sarà possibile accedere a contenuti aggiuntivi, applicazioni fatte ad hoc per determinati percorsi e Realtà Aumentata.
Il museo digitale non si interfaccerà più con il proprio pubblico solo attraverso la collezione o attraverso gli eventi, ma dovrà fornire una serie di contenuti digitali disponibili in qualunque momento. Ecco allora che potrà incuriosire chi lo esplora stando comodamente seduto in poltrona o viaggiando in treno, entrando a far parte della sua quotidianità.
I contenuti così proposti non si sostituiranno all’esperienza diretta della collezione, ma potranno comunque attrarre il futuro fruitore o fidelizzare il visitatore, somministrandogli esperienze sempre nuove e preformanti.
Ma veniamo al nocciolo della questione, perché materialmente il museo 2.0 dovrebbe avere un profilo Facebook, un account Twitter o essere presente su Instagram?
La domanda non vuole dare adito alle solite banalità quali: “al giorno d’oggi lo utilizzano tutti”, ma vuole fare riflettere sulle infinite possibilità in materia di passaparola e visibilità. Se infatti esiste il passaparola tra persone fisiche, ed è statisticamente uno degli strumenti più efficaci per diffondere le notizie, esiste anche un passaparola virtuale, che si esplicita attraverso condivisioni di link, attraverso la funzione “mi piace” o i retweet e che, a differenza delle voci umane, può assumere una dimensione virale.
Questa sfida è stata accolta da molti musei a livello mondiale, guardiamo alcuni esempi virtuosi:
Il Metropolitan Museum of Art, ha saputo sfruttare brillantemente lo strumento Instagram, tanto da aver dato vita ad una gallery, ovviamente meravigliosa, che è stata premiata a livello internazionale con la premiazione del Webby Award per il settore Arte e Cultura.
Il LACMA di Los Angeles è sicuramente un buon esempio di museo attivo su Pinterest, ha infatti sfruttato questo social network come una libreria multimediale in cui è facile consultare tutte le opere divise per hub tematici, che accompagnano il visitatore durante il percorso, regalandogli degli spunti interessanti di riflessione e nel frattempo riuscendo ad avvicinare anche coloro che curiosano da pc piuttosto che da smartphone.
Rallegriamoci per una bella iniziativa condotta da un museo italiano:
Palazzo Madama, è riuscito a rientrare in possesso della collezione “Meissen”, appartenuta alla famiglia Taparelli D’Azeglio, grazie ad un crowdfunding, organizzato con l’appoggio della community di Instagram. L’iniziativa ha infatti coinvolto in questa call chiunque volesse condividere la propria tazza del cuore per attrarre l’attenzione sull’iniziativa e creare delle occasioni di donazioni.
Morale: la collezione tornerà in Italia, all’interno del museo.
E in questo composito panorama di eccellenze, gli altri musei italiani cosa stanno facendo?
Sorge il dubbio che, la cronica mancanza di fondi, che a sua volta innesca una cronica mancanza di personale, unite al castello burocratico che ruota attorno al sistema dei beni culturali stia un po’ rallentando il percorso.
Consultando infatti le statistiche in materia (fonte Museum Analytics), dobbiamo arrivare alla posizione numero 74 della graduatoria “amici su fb” per trovare il Maxxi con 55.942 fan seguito dal Mart di Rovereto al novantottesimo posto con 45.000 e dalla Triennale di Milano con 44.000 fan, e gli altri?
Forse si crogiolano ancore sulle loro invidiabili collezioni, consapevoli che continueranno ad esercitare il loro appeal sui visitatori da qui a qualche secolo, senza capire che l’importanza di essere presente sui social network non può ridursi ad una visione speculativa di aumento dei visitatori. Ovvio che anche questo è un dato importante, ma il nocciolo della questione è la possibilità di allargare notevolmente il proprio bacino culturale di influenza e di differenziare i contenuti proposti.