Quando, tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60, la questione ambientale e le controversie sociali del dopoguerra divennero sempre più pressanti a livello globale, molte furono le proposte architettoniche (termine riduttivo in verità, dal momento che l’intenzione prima di tali progetti era proprio l’invenzione, la contaminazione, l’apertura verso possibilità fino ad allora inesplorate) avanguardistiche, fantascientifiche, utopiche di gruppi radicali come Archigram, Coop Himmelb(l)au, Haus-Rucker-Co, Superstudio, e molti altri.
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Una risposta che si provò a dare fu il ritorno ad un’architettura ‘leggera’, che si rifacesse ad una tradizione nomadica e formalmente organica, piuttosto che ad una contemporaneità invasiva e permanente, fatta di compartimenti rigidi e distinzioni nette fra spazi privati e spazi condivisi. Si svilupparono dunque proposte e ricerche basate su strutture pneumatiche che vedevano nell’aria, nonché negli innovativi e soprattutto economici e facilmente reperibili materiali plastici, i principali elementi costruttivi. La trasparenza, la leggerezza, l’essenzialità, divennero un linguaggio di riappropriazione di quell’umanità persa a causa dell’eccessiva razionalità modernista.
Fu Yves Klein, da personalità visionaria qual era, ad esplorare inizialmente tale ambito, ancora prima della pubblicazione del saggio di Reyner Banham, The Architecture of the Well-Tempered Environment (1969), e probabilmente ispirato, o comunque in linea, con la New Babylon (1956) del situazionista olandese Constant.
Klein ridusse l’architettura a elementi essenziali, principalmente aria e terra, affiancate da fuoco e acqua. L’obiettivo era ambizioso, e l’architettura solo un mezzo per portare a compimento un progetto olistico che ripensasse totalmente il nostro modo di vivere ed interagire.
Air conditioning on the surface of our globe… The technical and scientific conclusion of our civilization is buried in the depths of the earth and ensures the absolute control of the Climate on the surface of all the continents which have become vast communal living rooms… It is a sort of return to the garden of Eden of the legend (1951)… The advent of a new society destined to undergo deep transformations in its very condition itself. Intimacy, both personal and in the family, will disappear. An impersonal ontology will be developed. The willpower of Man will at last regulate life on a constantly ‘wonderful’ level. Man is so free he can even levitate! His occupation: leisure. The obstacles that traditional architecture used to put up with will be eliminated.
Yves Klein, Architecture de l’air (ANT 102), 1961
Furono innumerevoli gli schizzi, i disegni tecnici, i saggi, i modelli, le sculture, che Klein, grazie ad una serie di collaborazioni con gli architetti Werner Ruhnau e Claude Parent, il designer Roger Tallon, l’artista Jean Tinguely, realizzò per studiare e, paradossalmente, concretizzare l’idea di un’architettura immateriale, fatta d’aria. Una visione paradisiaca, la sua, che come New Babylon o come il Fun Palace di Cedric Price, puntava ad una liberazione dell’essere umano, ad una semplificazione dell’esistenza che trovasse nella creatività e nel divertimento la sua vera realizzazione.
L’apparato urbano tradizionale si sarebbe disintegrato, assieme agli stantii modelli sociali che l’avevano originato. Il programma e le funzioni avrebbero rivestito un ruolo di primo piano nella gerarchia progettuale, togliendo ogni significato a forma e materia. Il ruolo dell’architetto sarebbe stato inutile, in quanto dell’elaborazione e gestione di tali sistemi si sarebbero occupati artisti, musicisti ed ingegneri.
La definizione dello spazio sarebbe avvenuta tramite dispositivi non tangibili ovviamente, come suoni, luci e riflessi. Una copertura di flussi d’aria continui avrebbe protetto sezioni estese di territorio, creando una sorta di nuovo eden climatizzato. Tutti i servizi sarebbero stati racchiusi in spazi sotterranei. Ciò avrebbe permesso di controllare il benessere ambientale, di ripararsi dalle intemperie, e allo stesso tempo di abbattere tutte quelle barriere fisiche e visive che normalmente si interpongono tra gli abitanti. Tutto sarebbe stato architettura, e l’architettura sarebbe scomparsa.
Yves Klein morì nel 1962, senza poter sviluppare ulteriormente le sue ricerche estetiche, proprio dopo aver annunciato che da quel momento in avanti si sarebbe dedicato esclusivamente alla produzione di opere immateriali, unico compito possibile per l’artista del futuro.