La crisi, la disoccupazione, l’Italia. L’unica soluzione, quella che tutti ti suggeriscono in un tono tra il rassegnato e il vaticinante, è ogni volta la stessa: partire. Cercare lavoro altrove, all’estero, dove le possibilità sono infinite e il successo assicurato.
E invece no. Sembra esserci una controtendenza oggi, nel nostro Paese, che porta l’inflazionatissima categoria dei “giovani” ad essere un po’ più disposta a legare il proprio futuro a quello del proprio territorio.
Al piano terra di una palazzina come tante altre, a Trento, Artwort ha incontrato un gruppo di ragazzi che ha scelto di restare (o meglio, di tornare), e di rimboccarsi le maniche.
Campomarzio è uno studio di architettura ed è anche un’associazione culturale. È attivo dal 2012, e conta otto soci: Pietro Vincenzo Ambrosini, Michele Andreatta, Alessandro Busana, Daniele Cappelletti, Karol Czarzasty, Enrico Lunelli, Teresa Pedretti e Enrico Varagnolo.
Due anni fa i suoi membri, dopo varie esperienze formative e lavorative tra Boston, Tokyo, Venezia, Barcellona e Chicago, hanno deciso di andare controcorrente, assumersi i dovuti rischi e stabilirsi in Trentino, area d’origine della maggior parte di loro. Da allora si impegnano su vari fronti, dalla progettazione, all’urbanistica, agli allestimenti museali, alla comunicazione, alle dissertazioni storico-teoriche, e molto altro.
Dal loro ‘perchè lo facciamo’:
“Basta attraversare l’Italia in treno o in macchina per capire che – sullo sfondo dell’attuale carenza di opportunità lavorative – permane la condizione di un Paese che necessiterebbe di uno enorme sforzo di pianificazione, riprogettazione e riqualificazione. Il paradosso dell’Italia è rappresentato quindi dal fatto che manca il lavoro pur essendo necessario un immenso lavoro per riprogettare il futuro delle nostre città e per salvare quel che resta di un paesaggio ormai compromesso.
In una tale condizione, la nascita di Campomarzio rappresenta una presa di coscienza del problema, ma anche un volontario autoriscatto. La nostra intenzione è di mettere a disposizione della collettività le nostre conoscenze e il nostro lavoro per stimolare il dibattito su questioni urbane irrisolte e per affrontare in maniera più condivisa scelte che per ora non lo sono.”
Una volontà di riscatto quindi, che si traduce in versatilità, nell’affiancare da un lato lo sviluppo di progetti di architettura – tra cui le proposte per il Palazzo del Cinema di Locarno, per il Restyling Spazi Espositivi Galleria Civica e per il discusso Guggenheim Helsinki – e dall’altro il consolidamento di reti e partnership – che si concretizzano poi in iniziative come l’installazione partecipata nell’ambito di A-WAY Impulsi Urbani! a Cittadella.
Riguardo alle modalità operative dello studio vero è proprio, esso si avvale principalmente dell’aperto ma discutibile sistema concorso, per aver accesso ad occasioni progettuali. L’intento, in generale, è quello di compiere una ricerca attenta, che trova nella città, nel contesto, nel tessuto esistente, i suoi principi generatori. L’innovazione giace nella semplificazione, nell’essenzialità del tratto, sia per quanto riguarda le rappresentazioni che i progetti stessi. Una sorta di ritorno – consapevole – ad uno stato precedente, dopo aver varcato i confini caotici del mondo urbano contemporaneo. Ciò permette di vederci un po’ più chiaro nella giungla in cui si è tramutata l’architettura ufficiale, quelle delle archistar e degli edifici-oggetto, e di riscoprire l’importanza sia del disegno come comunicazione e come strumento progettuale imprescindibile (sulle orme di Pier Vittorio Aureli e della rivista San Rocco), sia di una certa presa di coscienza critica nei confronti delle esperienze spaziali del passato più o meno recente.
Sono comunque le attività parallele dell’associazione ad apparire come il carattere più peculiare e distintivo. La libera iniziativa e l’idea di inclusività guidano il gruppo ad affrontare le tematiche correnti in una dimensione sempre collettiva e osmotica. Portando alla luce criticità urbane trascurate, le collaborazioni hanno il fine di valorizzarne i molteplici contributi, più che l’entità Campomarzio di per sé. Esemplari sono il progetto di Piazza della Mostra, a Trento, e soprattutto il workshop di costruzione in legno, Camposaz, il quale si è rivelato ripetutamente essere un ottimo pretesto per studenti e architetti per recuperare il contatto con la materia, i luoghi, le persone.
Nonostante l’essere stati nominati uno dei 10 migliori studi emergenti in Italia del 2014, rimane ancora molto da dimostrare a questi giovani architetti. Ci piace però pensare che stiano contribuendo a modo loro ad ampliare lo spettro del fare architettura – o del fare altro, attraverso l’architettura-, in un momento di crisi come quello attuale. Il tutto accompagnato dalla convinzione che la vera innovazione, prima che avanguardia tecnica, sia in fondo una questione di metodo.
Campomarzio si è raccontato in un’intervista collettiva, in esclusiva per AWM.
Recession, unemployment, Italy. The only solution, the one suggested by everybody in a resigned way, is always the same: to leave. That means to search a job somewhere else, then abroad, where the possibilities are endless and the success is guaranteed.
But it’s not so. It seems that nowadays in Italy there is a countertrend, that leads the young people to stay in their home country, so that they try to build their own future in Italy.
On the ground floor of a small building like many others, in Trento, Artwort met a group of young people who have decided to stay (or better, to come back) and to roll up their sleeves.
Campomarzio is an architecture studio, but it is also a cultural association. It has been operative since 2012, and it has 8 members: Pietro Vincenzo Ambrosini, Michele Andreatta, Alessandro Busana, Daniele Cappelletti, Karol Czarzasty, Enrico Lunelli, Teresa Pedretti e Enrico Varagnolo.
Two years ago its members, after making much educational and working experience in Boston, Tokyo, Venice, Barcelona and Chicago, have decided to go against the grain, taking risks and settling down in Trentino, the region of origin of most of them. Since then, they have been working on different things, such as design, city planning, museum exhibition layout, communication, history-theoretic dissertations, and much more.
From their “why we do this”:
You just have to travel around Italy by car or by train to understand that – together with the current lack of job opportunities – there is still a country that needs a very big effort in planning, designing and redevelopment. The Italian paradox is represented by the lack of work, although an enormous work is necessary to re-plan the future of our cities and to save what remains of our landscape that is hopelessly compromised.
Therefore it’s a desire of redemption that conveys versatility, as they put alongside on one hand the development of architectural projects – among which the proposals for “Palazzo del Cinema” in Locarno, the Restyling of the Exhibition Space of “Galleria Civica” and the “Guggenheim” in Helsinki – and on the other hand the consolidation of networks and partnerships – that are actualized in initiatives as the anticipated installation in the context of “A-WAY Impulsi Urbani” in Cittadella.
About the operative modalities of the Studio, it uses the open but controversial system of the competition, in order to have access to design opportunities. The general aim is to do an accurate research in cities, contexts, existing fabric. The innovation is in the simplification, the essentiality of the mark, both for the representations and the projects themselves. A sort of coming-back – consciously – to a previous stage, after crossing the chaotic limits of the contemporary urban world. This makes us see better the actual jungle of the official architecture, that of archistar and the building-objects, and we can rediscover the importance of both the drawing (as communication and as an essential design tool – following Pier Vittorio Aureli and San Rocco’s review) and a kind of realization of critical conscience towards the past and recent space experiences.
The simultaneous activities of the association are the peculiar and distinctive feature. The free initiative and the idea of inclusiveness make the group deal with the current themes, always in a collective dimension. Revealing the negative aspects of the urban places, the collaborations aim more to value well the various contributions that the Campomarzio entity for itself. The project of “Piazza della Mostra” in Trento is exemplar, and most of all the wood building workshop, Camposaz, which has now become a “good excuse” for students and architects to have the contact again with the material, the places and people.
Despite the fact that they have been nominated for best emergent studio in Italy in 2014, these young architects have still much to prove. Nonetheless we like thinking that they are contributing to enlarge the way of “doing architecture” – or doing something through architecture -, in the current moment of recession we are living in. Everything goes with the conviction that the real innovation is a matter of method, before being technical avant-garde.
The whole interview to Campomarzio is available on AWM.