“There was a star riding through clouds one night, & I said to the star, ‘Consume me’”
– Virginia Woolf
In fisica un corpo nero è un oggetto che assorbe tutta la radiazione elettromagnetica che lo investe. Ne sono un esempio il sole e le stelle. All’aumentare della temperatura, il corpo arriva ad emettere il suo massimo di radiazione diventando, così, visibile come accade – per l’appunto – con le stelle.
Il corpo umano, ritratto negli scatti di Nádia Maria – classe 1984, dal Brasile – nella sua ultima serie “Origins”, può essere inteso come un corpo celeste, in quanto proiettato tra galassie e costellazioni, non come parte estranea alle stesse, ma come naturale prosecuzione. Ma il discorso che sembra voler tessere l’artista è più largo e metaforico, tocca i confini della scomposizione e ricomposizione della figura umana seguendo come punti da unire quelli formanti le costellazioni. Corpi umani che diventano celesti e trafitti da un raggio di luce al centro di un universo quanto mai personale e, per questo, illogico – come d’altronde l’uomo nella sua semplice complessità – perdono sostanza per farsi della stessa materia di cui sono fatte le stelle. Corpi effimeri e fragili che sembrano cercare riparo tra stelle luminose, un ricongiungersi con se stessi e con la natura nella sua espressione più ampia, quasi materna.
D’altronde, discendiamo dalle stelle nella misura in cui ogni atomo del nostro corpo deriva dall’esplosione di una antica supernova che ha permesso l’esistenza di quegli elementi di cui siamo composti noi ed ogni altro essere vivente su questo pianeta.
Progenie del fuoco cosmico dunque, vita di un corpo umano che deriva dalla morte di un corpo celeste.
Semplice e stupendo allo stesso tempo.