L’elezione di Vincenzo Trione a direttore del Padiglione Italia della prossima Biennale di Venezia è stata accompagnata da non poche polemiche: la nomina è giunta con settimane di ritardo rispetto ai padiglioni delle altre nazioni e, a destare ancora più perplessità, è il fatto che a decine di validi curatori, è stato preferito uno storico dell’arte. Qualcuno aveva avanzato il sospetto che questa scelta inaspettata e tardiva fosse il risultato della solita miopia e incompetenza della classe dirigente italiana, che tende a premiare la mediocrità e a penalizzare l’eccellenza.
Altrettanta perplessità ha sollevato il tema scelto da Vincenzo Trione: Codice Italia. In un contesto internazionale e cosmopolita come quello della Biennale, quel Codice Italia puzzava di insulso provincialismo.
Pochi giorni fa è stata resa pubblica la lista degli artisti convocati da Trione: Alis/Filliol, Andrea Aquilanti, Francesco Barocco, Vanessa Beecroft, Antonio Biasiucci, Giuseppe Caccavale, Paolo Gioli, Jannis Kounellis, Nino Longobardi, Marzia Migliora, Luca Monterastelli, Mimmo Paladino, Claudio Parmeggiani, Nicola Samorì, Aldo Tambellini.
Salta immediatamente agli occhi l’elevato numero dei nomi proposti e la loro assoluta disomogeneità. Aspetto in netta controtendenza rispetto agli altri padiglioni, focalizzati su pochi nomi e precise scelte curatoriali.
L’intenzione di Vincenzo Trione sarebbe quella di individuare una grammatica trasversale nell’opera di artisti distanti sia poeticamente che anagraficamente, la cui ricerca artistica possa essere definita secondo un vago, quanto indefinito concetto di avanguardia.
Lo schema di gioco è fin troppo evidente: due veterani dell’underground italiano di sicuro impatto, Gioli e Tambellini, Kounellis dall’Arte Povera e Paladino dalla Transavanguardia, i giovani e più che popolari Alis/Filliol e Samorì e una lista troppo lunga di artisti accomunati dal semplice fatto di essere italiani.
Nulla da eccepire sul valore dei nomi proposti, tutti di altissima rilevanza artistica. Ciò che manca è il progetto curatoriale, una decisa presa di posizione e la definizione di un piano semantico su cui artisti così eterogenei dovrebbero comunicare.
Il Padiglione Italia, stando alle anticipazioni, appare più che altro come un compendio abbastanza confuso di storia dell’arte italiana degli ultimi cinquant’anni.
Le intenzioni di Vincenzo Trione rischiano di essere capovolte. Il Codice Italia, da manifestazione dello spirito avanguardistico italiano, potrebbe tradursi nella ennesima attestazione di mediocrità e mancanza di visione critica nella gestione del panorama artistico del nostro Paese. Ben lontani dal terremoto promesso da Enwezor, potrebbe essere questo il vero tratto distintivo di italianità che emergerà dal Padiglione Italia della prossima Biennale.