Nel deserto, dove tutto non lascia che scie, una scultura apparentemente immutabile collassa nella varietà di letture e apparizioni che le si attribuiscono: nel movimento dei visitatori che le dà vita, nelle luci e nelle ombre proiettate, taglienti e inafferrabili, nel suono che il vento produce sfilando sulle facce delle superfici, nella temperatura che gela o arroventa il materiale. Quattro gigantesche lamine di metallo trafiggono il suolo del deserto del Zekreet, apparizioni enigmatiche e sospese come miraggi monumentali ancorati solo al peso dell’acciaio.
In East-West/West-East, l’ultima e più grande opera pubblica di Richard Serra, appena realizzata nella riserva naturale del Brouq in Qatar, l’artista arriva ad un’estrema semplificazione ed efficacia formale. Da sempre interessato a rimuovere la scultura dal piedistallo a cui la hanno confinata secoli di tradizione, in questo caso la lascia andare libera per il mondo, quasi cadenzando con i suoi quattro smisurati passi la distanza tra lo spazio del paesaggio e quello dell’uomo. L’esperienza della percezione dell’osservatore nell’ambiente, che è quella che dà vita e corpo alle opere di Serra, esplodendole in un caleidoscopio di visioni e forme differenti che reinventano l’opera in ogni momento, è qui estremizzata efficacemente: ogni pannello appare esile, lineare, enorme, fragile, potente, smisurato, sgraziato o leggero a seconda della visuale. La composizione lineare dei quattro elementi, sparsi su oltre un chilometro, si arricchisce delle combinazioni e relazioni tra le singole steli, che danzano e si sovrappongono in un gioco di rimandi e sfalsate analogie.
Prosecuzione (si veda l’opera ‘7’) della collaborazione tra l’artista e l’eminente figura di Sheikha al-Mayassa Hamad bin Khalifa al-Thani, sorella dell’Emiro del Qatar nonché una delle mecenati piu’ efficaci e attive sulla scena artistica contemporanea, East-West/West-East ci riporta a una Land Art capace di confrontarsi in modo convincente con l’ambiente naturale. Gli elementi di acciaio sono stati prodotti e assemblati in Germania per essere imbarcati e spediti in Medio Oriente, e si prevede che il materiale passi dal grigio all’ambra scura nel giro dei prossimi mesi, instaurando un dialogo cromatico con le dune circostanti nelle loro variazioni di configurazione e illuminazione.
“You become very, very aware of the hour of the day and what’s underfoot and the temperature and the wind, particularly the wind, and the sand.”
Il deserto di Micheal Heizer, Walter De Maria e Nancy Holt, quel deserto di Richard Smithson ‘that swallows up boundaries’, qui si lascia imprimere da un percorso, una direzione: poiché, ciò che permane non sono i monoliti che si rincorrono in fila, ma il mutevole flusso dei passi tesi tra i due estremi dell’opera, tra l’Oriente e l’Occidente.