Un grande studioso, Edward W. Said, nel suo fondamentale Orientalism ha descritto l’orientalismo come la sovrastruttura e in qualche modo il pretesto del colonialismo. La cultura che non senza molta genericità definiamo ‘occidentale’ ha espresso con le ‘mode’ orientalistiche non sempre una volontà di dominazione coloniale ma alle volte, magari implicitamente, la coscienza di una profonda relazione millenaria con le grandi civiltà asiatiche. Considerazioni di questo tipo, connesse alla volontà di far conoscere un patrimonio artistico finora piuttosto trascurato conduce ad affrontare l’influenza dell’Orientalismo in Toscana. L’iniziativa orientale potrà sembrare non evidente o ovvia in Firenze e in Toscana: magari ce la saremmo aspettata piuttosto in certe regioni del Mezzogiorno o a Venezia, decisamente più legate al Levante. In effetti che la Toscana, culla del Rinascimento, disponga di forti connessioni con i mondi dell’Oriente è l’ultima cosa che ci saremmo aspettati. Invece è assolutamente cosi.
E proprio un esempio di orientalismo fiorentino da approfondire sul serio lo troviamo nella valle dell’Arno dove, per opera di un uomo di grande cultura, una fattoria fu trasformata in una sorta di meraviglioso Castello orientale. Il Castello di Sammezzano nasce infatti come un antico fortilizio, che dopo aver cambiato spesso padrone, diventò la fattoria di Ferdinando De Medici, al centro di una gigantesca tenuta di caccia. Nell’800 la Fattoria arriva in eredità a Ferdinando Ximenes d’Aragona, discendente di due illustri famiglie fiorentine. Nobile, colto e ricchissimo, Ferdinando aveva come hobby l’architettura e proprio per questo avvia i lavori a Sammezzano poco dopo il 1840. L’edificio pervenuto a Ferdinando risultava costituito da un corpo edilizio compatto su due piani, con nove assi di apertura. In aderenza all’edificio vi era una cappella, lievemente sporgente, che Panciatichi ingloberà nella morfogenesi della nuova opera. Sul fronte a sud-ovest vi erano due ali sporgenti, oltre ad una grande corte interna, a forma di rettangolo irregolare, che sarà trasformata da Federico nel nucleo centrale degli ambienti della villa-castello. Questo eccentrico personaggio combina il suo interesse per l’architettura con una teoria secondo la quale la Cultura Occidentale derivi dall’Oriente. Coltiva quindi tendenze di gusto eterodosse e restando alquanto distante dal contesto dell’architettura prevalente ai suoi tempi a Firenze, da vita ad un riassunto vivente delle mille e una notte. Panciatichi mostra un interesse maggiore verso la valorizzazione di altri stili, marcatamente eclettici. Un esempio di riferimento per il Marchese fu sicuramente il Tempio Israelitico a Firenze di Treves, Falcini e Micheli. Certo è che costruire un pezzo d’Oriente in quello che è stato il centro e il cuore del Rinascimento italiano lo portò ad essere fortemente criticato. Dopotutto quante volte Ferdinando si sarà sentito dire ‘icchè c’entra con Firenze?’.
Ferdinando comunque non scopiazza in maniera sciatta o banale, ma rielabora e reinventa, creando una sua personalissima versione delle suggestioni orientali islamiche, tali da rendere ardua l’individuazione di rimandi diretti alle ipotetiche fonti di ispirazione. Il Marchese riesce quindi a creare a Sammezzano un’opera d’arte totale, caratterizzata dall’elegante accostamento di una policromia vivace e smagliante, accanto alla polimatericità di stucchi, ceramiche, vetri e specchi.
Descrivendo la facciata del Castello possiamo notare diversi aspetti significativi. Certamente la predilezione per i disegni geometrici e per gli eleganti arabeschi rinviano al tipico gusto decorativo dell’antica dinastia Moghul, tuttavia, possiamo notare un evidente differenza nell’uso dei materiali. Invece di rivestire le strutture in mattoni con mattonelle di ceramica dai colori vivi o prediligere l’associazione di arenaria rossa con il marmo bianco il Marchese decide di non seguire fedelmente le sue fonti ma le reinterpreta nuovamente. Sia l’uso del mattone e l’arco a tutto sesto presenti nella facciata sono richiami forti alla tradizione stilistica fiorentina. In questi ultimi elementi avviene infatti qualcosa di straordinario. Ferdinando si riappropria del “fare architettura” fiorentino per rielaborare le decorazioni arabesche orientali.
Lo stile orientale e occidentale sono stati fusi dal Marchese per mezzo della sua creatività, in una grandissima costruzione che affascina ogni suo visitatore, ma la cosa più importante di tutto questo processo progettuale è il messaggio che ci vuole trasmettere. Nel momento in cui, negli anni dell’Unità d’Italia (1861), si parla, come fa Panciatichi, di arabi, di indiani, e di stile orientale, ci vuole gran coraggio a mettersi contro la sensibilità prevalente, incline al nazionalismo, per costruire un Castello orientale. Particolarmente in questo periodo storico è importante sottolineare come la politica definisse in termini generici tutto ciò che risultasse differente, esotico e non ben conosciuto, al fine di creare un senso di appartenenza nazionale. Termini come oriente e occidente, est e ovest, marcano confini profondi tra la cultura Orientale e la cultura Occidentale.
Ancora oggi, si potrebbe discutere a lungo se il castello sia “intonato” o “stonato” rispetto al paesaggio toscano, tuttavia rappresenta una parte importante di questa toscanità e sicuramente la magia di questo Castello fa parte di quella bellezza descritta da Dostoevskij quando dice: “la bellezza salverà il mondo”.
But a particularly interesting example of Orientalism by Florentine found within the valley of the Arno by the work of a man of great culture. This farm was transformed into a wonderful Oriental castle. This valley is a place where many historical events took place from the Longobards, the passage of Charlemagne, the clashes between the Empire and the Pope, and especially the presence of the Renaissance as a major cultural and artistic current. However, in the middle of concentrated area that mixes both the Western history and culture there is an Eastern island. The castle was originally an old fort that was owned by a number of different individuals. Eventually Ferdinando de Medici took possession, at this time he also purchased significant amounts of land surrounding the fort thus creating new hunting grounds. In 1800 Ferdinand Panciatichi of Aragon Ximenes, a descendant of two illustrious Florentine families, inherited the farm and became the final owner. He began working on the Castle of Sammezzano shortly after 1840.
However, the Paniciatichi, an eccentric character combines his interest of architecture with a theory that explains how the Western Culture is derived from the East. Because of his theory he developed heterodox tendencies, while remaining somewhat distant from the context of prevalent architecture in his time in Florence. Panciatichi placed an emphasis on the enhancement of other styles, especially the exotic ones. An example was the Jewish temple in Florence of Treves, and Falcini Micheli. Because he built a piece of the East in what was the center and heart of the Italian Renaissance led him to be heavily criticized. This established the basis of many thoughts questioning what is the meaning and purpose behind an Oriental building located in the heart of Tuscany. However, Ferdinand, did not duplicate or copy previous work and he did not work in a simplistic way, but he successfully reinvented a very personal version of Islamic oriental influence. For this reason it is very difficult to find direct links to previous projects. The Marquess was finally able to create a genuine Sammezzano Gesamtkustwerk, characterized by an elegant combination of vibrant colors, next to various stuccoes, ceramics, glass and mirrors.
The façade of the castle clearly shows several significant aspects. The pref¬erence for a geometric design and elegant arabesques undoubtedly addresses the typical decorative style of the ancient Mughal dynasty, though there is a clear dif¬ference in the use of materials.
Instead of covering the brick structures with bright colored ceramic tiles or prefer¬ring the combination of red sandstone and white marble, the Marquess chooses to reinterpret rather than strictly follow its references. This becomes obvious, for instance, on the windows, over which a geometric arabesque frame has been placed, but on top of which it is still possi¬ble to grasp the classic arches of the previous openings. The shutters are yet another certainly Tuscan detail. Both the use of brick and arches on the façade are strong references to traditional Florentine style, lending the building a unique character.
This monument hence shows that the Marquess couldn’t detach from his cultural heri-tage. However, the introspective process¬ing of all his studies, readings, experiences and emotions, leads Panciatichi on his own way, experimenting with new cultures, and this is what makes this building unique. The villa becomes a beautiful bridge for intercultural exchange of mutual enrichment between East and West, result of the conviction, shared by very few, that Renaissance art had its origins in the East. The eastern and western styles were merged by the Marquess through his creativ¬ity; although the building hypnotizes every visitor for its beauty, it is in the under¬lying idea it was planned to convey that lies its uttermost significance. One can say it took Panciatichi great courage to, at the time of the Unification of Italy (1861), stand aside the prevailing tendencies, supported by the nationalist government, and raise attention to Arabs, Indians, and the oriental style, by build¬ing an oriental castle. Particularly at this time, it is important to underline how the government advocated the distinct separation of the different, exotic and not well known, in their quest to establish their own ideal national community, united by a feeling of belonging under the nationalist ideas. Dyads like orientalism and occi¬dent, east and west, ours and theirs, are employed to accentuate the gap between the culture of the East and the culture of the West and strengthen the feeling of community within their own, prompting uniformity and unity. In the 19th Century, the Florentine defined themselves and their tradition by recognizing the east as different.
Nowadays one could extensively argue whether the castle is “in tune” or “out of tune” with the Tuscan landscape; however, it represents an important part of the Tuscan memory and it certainly is among the beauty described by Dosto¬evsky when he says: “Beauty will save the world”.