Edifici abbandonati, spazi di margine, vuoti urbani, aree industriali dismesse, periferie degradate, relitti e deserti cittadini: sono solo alcuni degli epiteti con cui abbiamo imparato a perimetrare, sempre con maggiore frequenza, il problema del “rimosso urbano”. La scelta dell’ennesimo di questi epiteti si lega a una definizione che forse può mettere ordine in questo grande calderone: il rimosso della città fa riferimento a una qualsiasi categoria spaziale che per i motivi più disparati si trova a vivere una condizione di sospensione temporale e quindi un tempo altro rispetto a quello dei luoghi che viviamo, attraversiamo e ai quali ci affezioniamo ogni giorno. Questa accezione coglie alla perfezione il punto di vista più creativo che il tema del rimosso offre agli urban makers italiani, che consiste nell’approcciarsi al tema dell’abbandono non nei termini di un pericoloso problema da risolvere, ma nel considerarlo un campo di sperimentazione che apre alle città del futuro un ventaglio di infinite possibilità in termini di dinamiche sociali, soluzioni architettoniche, riflessioni teoriche e artistiche. Un’occasione da non sprecare, si potrebbe aggiungere. È con questo spirito che tre dei numerosissimi collettivi, associazioni, osservatori si sono avvicinati al tema al punto di fissare alcuni paradigmi operativi tramite veri e propri manifesti e guide all’uso.
Temporiuso: dal riuso temporaneo alla creazione di una rete di collaborazione sul territorio
Temporiuso è un’associazione culturale nata nel 2008 a Milano. L’obiettivo condiviso è quello della riattivazione degli spazi abbandonati della città, attraverso molteplici forme di intervento. A monte c’è però una riflessione teorica sulla natura di questi spazi informali, che ha spinto Temporiuso ad adottare la pratica del riuso temporaneo: i momenti di incertezza e immobilismo in campo economico portano spesso al crollo delle vecchie destinazioni d’uso di uno spazio. Il gap temporale, spesso molto lungo, che si crea tra il vecchio utilizzo che decade e una nuova programmazione funzionale è il momento migliore per sperimentare attività e progetti temporanei che possono offrire nuovi scenari di rigenerazione urbana. Ma come arrivare a un progetto di riuso temporaneo? Il primo passo è il mapping, che è di carattere si geografico, ma che concerne anche nell’intercettare la domanda della popolazione circa l’uso di questi spazi e comprendere che tipo di risorse locali impiegare nel progetto.Dopo la verifica di questi primi dati è possibile lanciare “inviti alla creatività”, bandi pubblici in cui si “baratta” l’uso di questi spazi con idee innovative e sostenibili per il loro utilizzo temporaneo. Dal costante confronto tra i soggetti coinvolti si dà vita a un tavolo comune in cui fissare le regole del nuovo spazio e le modalità di apertura al pubblico.
Stalker: la pratica del camminare per ristabilire una relazione primaria con lo spazio di margine
Stalker è un laboratorio di arte urbana nato nel 1995 a Roma. La carica teorica con cui il collettivo si è approcciato al tema del “rimosso urbano” è tanto forte da aver generato una vera e propria pratica estetica. Questa parte da una riflessione di fondo sullo spazio che è sfuggito alla pianificazione e al controllo della città: le “amnesie urbane”, dei grandi vuoti interstiziali che hanno secondo Stalker una “vocazione nomade”; essa si riflette nella straordinaria capacità di tali spazi di trasformarsi e rigenerarsi spontaneamente. Gli spazi informali sono quindi paragonabili a “un liquido amniotico da cui trae linfa vitale l’inconscio della città”. Ma qual è la pratica spaziale che permette di viverli, esplorarli e sentirli propri? Semplice: il camminare. Percorrere uno spazio è infatti la prima ancestrale forma di modificazione e interazione dell’uomo con i luoghi ed è per questo che il collettivo organizza avventurose camminate distribuite nell’arco di più giorni, una sorta di viaggio iniziatico in cui perdersi è la parola d’ordine. Attraverso l’uso di cartografie realizzano mappe narrative condivise che si aggiornano continuamente man mano che ci si addentra tra i vuoti urbani: “facciamo la mappa per camminare e dal camminare viene una mappa.”
Alterazioni video: l’Incompiuto siciliano come opera d’arte
Alterazioni video è un collettivo artistico fondato a Milano nel 2004. Tra le esperienze più interessanti del gruppo vi è sicuramente quella dell'”Incompiuto siciliano”. Il lavoro indaga il tema dell’opere pubbliche incompiute in Italia, viste come il simbolo della storia recente ,sociale ed edilizia, del nostro paese. Questo aspetto diventa particolarmente evidente grazie a una serie di cartografie prodotte dal collettivo dove si osserva che dal semplice puntinismo derivato dal mapping del non-finito italiano è possibile leggere la forma stessa del nostro territorio. Il rapporto che questi relitti instaurano con il paesaggio è ritratto da una serie di materiale fotografico e video suggestivo che mostra la selvaggia brama di conquista del territorio da parte dei promotori di queste opere edilizie che il collettivo definisce come “viscerale e magnetica”.
Il valore estetico ed artistico di questa rete di oggetti polverizzata sul nostro suolo risiede inoltre nell’assurgere a precoci rovine assimilabili a quelle greche e romane. La condizione astratta e assoluta di questi non-finiti diventa improvvisamente contestuale quando si osserva l’aggressione che questi relitti subiscono dalle forme naturali: la diversa collocazione geografica incide sull’identikit della specie vegetale che se ne riappropria.
Grazie a questa prima fase del lavoro sul piano comunicativo e mediatico legata alla straordinaria suggestione che l’incompiuto esercita nella sua dimensione fisica e simbolica, è stato possibile per Alterazioni Video passare a un intervento diretto sul territorio: la creazione di un parco archeologico dedicato, nel comune di Giarre, in Sicilia, che mette a sistema la significativa concentrazione di manufatti degni di nota, sparsi nel territorio di questa cittadina di 30’000 abitanti.