Il 9 ottobre 2015, il Museo madre di Napoli ha inaugurato tre nuove mostre: Daniel Buren Axer/Désaxer. Lavoro in situ, Mark Leckey DESIDERATA (in media res) e Marco Bagnoli La Voce. Nel giallo faremo una scala o due al bianco invisibile.
Il Museo partenopeo sembra avere un obiettivo ben preciso: portare l’arte contemporanea fuori dallo spazio museale, uscire, come una trionfante regina, dal suo grande portone giallo e catturare l’attenzione della città. Dare vita a un dialogo ‘contemporaneo’ con Napoli non è un compito facile e, per realizzare le rivoluzioni, spesso si ha bisogno di sconvolgere con opere impensabili. La nuova installazione Axer/Désaxer di Daniel Buren, che reinterpreta l’ingresso del Museo, è il perfetto ‘cavallo di Troia’ per sbalordire e creare sane discussioni intorno all’arte.
Ma andiamo con ordine.
Daniel Buren è già presente al Museo Madre con l’opera Comme un jeu d’enfant, un gioco, appunto, tra architetture e colori, che non si dimentica facilmente.
L’artista non solo coinvolge il visitatore con perfetti equilibri cromatici e una maniacale simmetria, ma ne ruba i ricordi infantili suscitando un sorriso in chi si inoltra nella sua giocosa installazione.
Entrando nella grande sala al piano terra, si passa dalla purezza del colore bianco delle luci e degli oggetti che là si incontrano, per essere avvolti, pochi metri più avanti, nella totalità rassicurante dei colori pieni e decisi delle enormi costruzioni infantili. È una gigantesca macchina architettonica che riproduce le sfere, i cubi e i cilindri di legno ideati dal famoso pedagogo tedesco Friedrich Fröbel per stimolare la creatività tattile nei bambini.
L’opera è ferma, adagiata nel suo spazio. A un primo passaggio sembra essere priva di interpretazione, evidente è il suo corpo, chiaro il suo scopo fin dal nome: un gioco d’infanzia. Eppure la magia e l’emozione sono pronte ad assalirti inaspettatamente più quando lasci l’installazione che quando vi entri.
La divisione dell’opera-gioco, che si estende nella totalità della sala, è un’imboscata ben studiata, in cui l’artista ci mette di fronte alla sua totale disubbidienza tracciando una linea netta tra un prima e un dopo.
Ma cos’è questo prima asettico e puro, e il dopo colorato e rassicurante?
Il contrasto tra il bianco e il colore gioca con la dimensione corporea di chi vive e tocca l’opera, provoca un piacevole smarrimento dentro e fuori il visitatore, è un continuo perdere i propri confini. Anche quando si lascia l’installazione, si è spinti a rientrare nella sala espositiva come a voler rivivere le emozioni appena lasciate.
Buren con quest’opera-gioco non vuole far riemergere i ricordi infantili ma trasportarci verso una nuova visione di noi stessi.
Ma Daniel Buren non finisce di sorprendere.
Con Axer/Désaxer l’ingresso del Madre è stato meravigliosamente stravolto.
Difficile trovare le parole per esprimere le sensazioni che si possono provare varcando la soglia del Museo. Tuttavia quella che tra tutte ci assale è l’ebbrezza di essere entrati in un mondo fiabesco.
Le pareti dell’atrio sono completamente rivestite per una metà da colori e per l’altra da specchi. Il pavimento è anch’esso diviso, da una parte si alternano le strisce in bianco e nero, nell’altra è lasciata visibile la pavimentazione originale.
L’insieme di quest’abbondanza cromatica e i riflessi estesi degli specchi, lasciano senza fiato. Ci si sente come la piccola Dorothy che con le sue scarpette d’argento segue la strada di mattoncini gialli alla ricerca del Mago di OZ.
Nel nostro viaggio, però, non incontreremo la Città di Smeraldo come nel celebre romanzo di Lyman Frank Baum, ma il caleidoscopico e sfacciato mondo di Daniel Buren.
I colori decisi creano contrasti cromatici per nulla fastidiosi, la metà rivestita di specchi riflette all’infinito l’installazione e chi sta nel mezzo. Il visitatore è la preda dell’artista che ne cattura l’attenzione senza complessi significati semantici ed è impossibile sottrarsi alla sua bellezza.
Per chi non ha mai smesso di sognare è l’inizio della fiaba mai dimenticata, è un ritorno a casa. Buren con la sua opera ha fatto una dichiarazione d’amore non solo al Museo Madre ma anche alla città. L’artista non ha stravolto la struttura architettonica preesistente del complesso museale, l’ha arricchita di teatrale fantasia come avrebbe fatto un visionario giullare di corte.
Adesso l’ingresso del Museo, con Axer/Désaxer, è diventato un luogo unico e irripetibile e può diventare un perfetto set cinematografico per surreali racconti contemporanei.
È evidente che chi scrive ha, in quell’ingresso, ritrovato la via di casa e non ha bisogno di speciali occhiali per incontrare il Mago dei desideri.
Nel Museo dal cuore giallo, i desideri sono già tutti appagati.