Nel corso della vita spesso ci troviamo in luoghi che non sempre appartengono alla nostra memoria. Capita che l’arte ci porti lontano dalle nostre certezze e a desiderare di comprendere ciò che non riusciamo ad afferrare. Ed è l’inafferrabilità la sensazione che si prova visitando la mostra di Mark Leckey DESIDERATA (in media res) al Museo Madre di Napoli fino al 18 gennaio 2016, la prima retrospettiva dedicata all’artista in un’istituzione pubblica italiana.
Mark Leckey espone oggetti del nostro quotidiano che lui trasforma in qualcos’altro. L’opera Inflatable Felix, che ci accoglie nell’ampia sala al terzo piano del museo, è un enorme pupazzo gonfiabile, il famoso Felix personaggio dei fumetti, il gigantesco gatto è disteso lungo tutto lo spazio espositivo. Il significato dell’opera ad un primo passaggio sfugge al visitatore che sorride e passa oltre.
In un’altra sala l’installazione GreenScreenRefrigeratorAction è composta da un frigorifero nero poggiato su una piattaforma verde (simile ai green screen cinematografici) e, poco più in là, un televisore che trasmette senza sosta immagini, suoni e parole. Qui, in questa sala, si avverte anche una sensazione di freddo mentre i suoni catalizzano la nostra attenzione.
Green Screen Refrigerator Action – Greenscreen, Pylon – PH Amedeo Benestante
Nel video, tra le varie immagini, riconosciamo lo scorrere del liquido refrigerante nelle serpentine del frigorifero. In questa installazione l’intestino tecnologico dell’elettrodomestico prende vita mentre ascoltiamo il suo silenzioso respiro.
Il video e i suoni dell’installazione sono la nenia del nostro tempo, sibili innaturali che l’orecchio umano ha fatto propri.
In tutte le opere di Leckey esiste un intento comune, un filo rosso che unisce il faticoso vortice interpretativo del visitatore e la forza espressiva dell’artista. È un perpetuo gioco in cui si resta imprigionati e chi osserva è costretto a guardare e a partecipare con tutti i sensi.
Sembra di trovarsi di fronte all’eutanasia dell’arte contemporanea che soccombe al desiderio di essere compresa. Con Leckey tutto può essere al tempo stesso sublime e insignificante.
Perciò, abbandonando i pregiudizi, si potrà comprendere l’intento dell’artista che desidera farci vedere la verità oltre la fredda superficie degli oggetti più comuni della nostra società. Le sue opere ‘parlano’ di quella brutale realtà che è la dipendenza tecnologica dei nostri tempi, un’epoca che ci vede al tempo stesso vittime e carnefici del degrado culturale dell’ultimo millennio.
Greenscreen, Pylon Transmission Tower#2_#3 – PH Amedeo Benestante
La banalità e il superfluo hanno riempito gli scaffali delle nostre case, abbiamo stravolto la naturale armonia della vita e, per questioni di sopravvivenza, ci siamo affidati totalmente alla tecnologia.
Mark Leckey con le sue opere richiama la nostra attenzione, il suo sembra un monito all’umanità, egli ha posto l’attenzione su ciò che l’uomo ha perso o sta perdendo del tutto: la capacità di guardare e la leggerezza di ascoltare.
Qui non ci sono vie di mezzo, lasciata la mostra o si prova emozione oppure disgusto. E non è forse proprio questo il compito dell’arte, scuotere le anime più pigre, risvegliare i sensi sopiti dal caos?
Leckey crea quell’immaginario spazio di comunicazione tra l’artista, la sua opera e lo spettatore proprio come scriveva già Mark Rothko nel secolo scorso:
«Lo strumento più importante che l’artista impiega grazie a una pratica costante è la fede nella sua capacità di produrre miracoli quando ve n’è il bisogno. I quadri devono essere miracolosi: non appena uno è terminato, l’intimità tra la creazione e il creatore è finita. Questi diventa uno spettatore. Il quadro deve essere per lui, come per chiunque altro ne farà esperienza più tardi, una rivelazione, una risoluzione inattesa e inaudita di un bisogno eternamente familiare»