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Vi abbiamo già introdotto a Fisura, la rivista di riflessioni critiche e progetti creativi nell’ambito dell’architettura, della fotografia e dell’arte. Ora vi proponiamo la prima parte dell’intervista incrociata tra il team di Artwort e i fondatori del magazine messicano.
Fisura is cracked
Domanda – Giuseppe Resta – Alla prima pagina del primo numero cominciate dal dizionario. “Fisura” ha tre significati: taglio longitudinale poco profondo, difetto che può espandersi, una separazione in qualcosa che era uniforme. Mi sembra che tutti questi aspetti appartengano al dibattito contemporaneo sull’architettura e la sua forma, nella quale la condizione di crisi è principale motore di cambiamento. Qual è la vostra posizione in qualità di catalizzatore di idee nel contesto messicano?
Risposta – Diego H. Dorantes. Per noi, scegliere la parola fisura come nome della rivista, ha differenti motivazioni. Ci piace il fatto che questa parola non abbia necessariamente un’accezione negativa come si potrebbe comunemente pensare; pensiamo alla frattura presente in un muro, un muro che ci imprigiona, in questo caso la fessura è un segno di speranza. Ovviamente può ugualmente essere una parola riferita ad un significato negativo, ma quello che ci interessa maggiormente è la sua capacità di segnalare qualcosa che si trasformi in un messaggio.
Questi significati possono essere inclusi all’interno del dibattito contemporaneo sull’architettura. Non è nostro interesse far prevalere una sola visione, né convincere qualcuno che una certa cosa è “buona” o “cattiva”; ci preme trasmettere un messaggio, una domanda che misuri il confronto tra le diverse opinioni. È straordinario il fatto che si possa mettere in discussione quello che normalmente è assunto come verità unica, permette di costruire nuove proposte.
Il milieu dell’architettura messicana sembra uniforme in tutti i sensi. All’interno di questo panorama, coesistono paradigmi e scelte ripetute che raramente sono messe in discussione; perciò è importante contare su diversi luoghi di discussione che cerchino di mettere in evidenza un altro punto di vista. Allo stesso tempo esistono molte pubblicazioni sull’architettura che sembrano avere parole simili, senza divergenze di opinione. È nostra intenzione creare una piattaforma che aiuti a dissolvere questo stato di uniformità.
È con queste premesse che abbiamo cominciato citando le connotazioni del termine, per stabilire un dialogo sulla relazione di ogni significato. Per portare i nostri lettori ad una interpretazione aperta, e contemporaneamente sottolineare le intenzioni di questa pubblicazione: essere un’alternativa al discorso senza crepe.
Domanda – Marco Ferrari: Nel mondo contemporaneo sembra che solo ciò che trova rappresentazione diventi reale, che la realtà diventi davvero effettiva solo attraverso i media: in questo senso sembra che voi stiate sfidando questa idea arrivando a parlare di spazi residuali, vuoto e margini, rivelando ciò che solitamente rimane nascosto o lasciato ai bordi. È dal vuoto che possiamo iniziare a costruire i nostri futuri?
Pensi che il continente americano abbia una particolare condizione di freschezza e possibilità di destini che in Europa abbiamo perso nel tempo?
Risposta – Stefania Fibela: Città del Messico cresce ogni giorno, nuovi edifici, nuove autostrade e nuove strade vengono create alla ricerca di una città moderna, una città post industriale dove la gentrificazione è però inevitabile. In un contesto del genere è necessario rivolgere la propria attenzione a ciò che sta accadendo ai margini e a cosa vi possiamo trovare, in quanto questi spazi sono destinati a divenire vuoti urbani o grandi pezzi frammentati, come nel caso di Bordo. Dentro questa città senza fine, gli spazi vuoti rappresentano la resistenza; come un’alternativa al modo di intendere la megalopoli e i suoi bisogni. Dobbiamo comprendere gli spazi vuoti non come una mancanza di architettura, ma come una possibilità aperta per la città.
Penso all’idea di Benjamin, il collezionista senza tetto, colui che trova negli spazi residui le possibilità di ricostruzione e di inizio di una nuova storia. Credo che la differenza principale tra Messico ed Europa siano le dimensioni spaziali. Le città europee provano a sfruttare meglio gli spazi esistenti, in quanto spesso non hanno altra scelta. In Messico, nonostante la sua grande estensione, continuiamo ad allargare solo una città, trascurando qualsiasi altro posto che non sia compreso all’interno dei suoi limiti; quando in realtà è assolutamente necessario imparare a sviluppare una nuova attitudine rispetto a questi spazi, a questi vuoti.
Già con il nome della nostra rivista proviamo ad offrire una possibilità, una visione diversa; cerchiamo nella struttura delle fessure la possibilità di identificare le crepe attraverso le quali avere accesso a visioni diverse di architettura, arte, design e cultura.