Martina Maccianti è un’artista proveniente dalla provincia di Firenze, dove studia Architettura. Per lavoro si cimenta in progetti grafico illustrativi semplici e benfatti, che sembrano provenire da un animo quieto e placido. Tuttavia il concetto di arte che porta nel cuore è lungi dall’essere tranquillo; i tre aggettivi che maggiormente descrivono il suo lavoro artistico sono primitivismo, compulsività e rituale.
La Maccianti ci rivela che l’arte è sempre stata un punto fisso nella sua vita, un mezzo per esprimere “l’esser contro”, un dissenso che cova nei confronti del mondo e delle circostanze intorno a lei. Il tormento è uno stato d’animo ben espresso nelle sue opere e nell’arte in generale che ella individua come mezzo potente di rivolta, arma, catarsi e sfogo. L’artista si reputa totalmente condizionata dal mondo dell’arte, si paragona ad una spugna che assorbe tutti gli stimoli possibili e li rielabora in un discorso privato e profondo che però trova maggiormente riscontro nei pensieri di grandi nomi quali Alberto Burri, Hermann Nitsch, Richard Serra e Otto Piene. Di fatto queste grandi personalità hanno sviluppato il loro pensiero artistico incentrandolo su topics ben precisi, quali lo spazio, la natura, l’attivismo, l’istinto, la matericità, il movimento, la luce, facendone discorsi unici e binari che la nostra artista ha fatto ben sedimentare nella sua tecnica e nel suo linguaggio artistico. Nell’arte di Aldo Tambellini la nostra artista riconosce affinità con la propria, anzi sostiene l’esistenza di un filo conduttore diretto e vincolato all’anima.
L’ultimo progetto della Maccianti consiste nella rielaborazione digitale di dipinti dalla natura selvaggia ed inconscia. Sebbene il digitale sia elemento di valore concettuale aggiunto, ci rivela che ogni suo passo artistico è stato principalmente elaborato e documentato su qualche sketch book che subisce un potenziamento assoluto con la rimediazione digitale, riuscendo ad estrarre significati nuovi e magnetici. Per l’artista:
“Il primitivo vive, coesiste e si evolve tramite la digitalizzazione.”
Le sue opere rimandano, seppure non strettamente in modo figurativo, ad un mondo naturale ed arcaico, potente e magico, che ora è soggiogato da sofferenza e vessazioni. Nel pensiero primitivo, Martina Maccianti invoca la possibilità di un ritorno alle origini, ad una naturalezza priva di regole imposte ed incontaminata, tenendo presente che l’uomo è un animale dagli istinti vorticosi e contrastanti che necessiterebbe di un nuovo contatto con le origini istintuali. Il pensiero della nostra artista è sottile e lungimirante e trova risoluzione nella rivalorizzazione della natura e della condizione iniziale in un mondo d’acciaio e digitalizzato, una collocazione che deve anche valorizzarne e ripensarne le caratteristiche più recondite.
Martina Maccianti conclude la sua breve intervista citando la frase di Nitsch affermante che:
“La pittura può svilupparsi fino a diventare una liturgia dipinta, una via di meditazione liturgica che richiede l’affermazione della vita.”
Che racchiude tutto il suo pensiero e tutta la manualità delle sue opere. L’arte per lei è concentrica ed ipnotica cupa e recondita, un’arte introspettiva da cui è difficile discostarsi perché doppiamente magnetica, per la sua umanità e per la sua progressione d’intenti. Una visione interiore di rabbia e speranza che rimanda ad una pittura rupreste, graffiata e dai colori naturali e contrastanti che si proietta sull’esteriorità e sulla ricerca di un mondo al di fuori che sappia evolversi non snaturandosi.
Le opere da lei proposteci saranno pubblicate accanto a quelle di due grandi artisti solo nel 2016 in una raccolta di tre volumi.