Gli anni sessanta portano con sé un estremo cambiamento nel mondo dell’arte, che ha attecchito profondamente le sue radici tanto da influenzare abbondantemente il clima artistico attuale.
Parliamo della minimal art, una corrente caratterizzata da un processo di riduzione della realtà. C’è un raffreddamento della sfera emozionale legata alla visione dell’arte, un’impersonalità e un’antiespressività ricercate. Si tende ad accentuare il lato oggettivo, puramente fisico e materialistico delle opere che si traducono in strutture geometriche elementari.
Uno degli esponenti più rigorosi del minimalismo è Donald Judd, che ha lasciato un patrimonio artistico che ispira con forza le architetture e il design di chi segue questa corrente di pensiero, ma non solo. Judd ha rivoluzionato le interpretazioni del fare e dell’esporre l’arte utilizzando metodi mai esplorati prima. Era convinto che nell’arte, nell’architettura, nel mondo geometrico e matematico, solo gli oggetti potevano creare lo spazio e questo è forse uno dei motivi per cui prediligeva delle installazioni permanenti in ambienti attentamente selezionati, ed ecco che per creare uno spazio adeguato alle sue idee, Judd credeva fortemente nell’importanza dell’autenticità degli oggetti.
Le sue opere sono strutture tridimensionali, rettangolari per lo più, organizzate nello spazio come moduli che si ripetono in sequenze semplici o in progressione geometrica. I materiali utilizzati sono di tipo industriale proprio per accentuare l’attenzione sull’oggettualità delle strutture e i volumi sono sempre posizionati in modo da ottenere una perfetta divisione tra pieni e vuoti.
“Apparentemente autonomi, i suoi oggetti non possono essere percepiti senza considerare il rapporto con lo spazio che occupano e influenzano.”
Judd non voleva propinare l’impressione di trovarsi in un mondo presunto, in un spazio inconsistente, ma voleva qualificare uno spazio che fosse il più reale possibile, servendosi dell’arte astratta.