Il film Lo stato delle cose del regista tedesco Wim Wenders, ci ricorda che nel fare arte, presto o tardi occorre fermarsi per comprendere il senso del proprio operare. È una pausa inevitabile che si trasforma in un’ottima occasione di dialogo e confronto con le altre discipline, una ricerca di un’empatia smarrita che consente all’artista o all’architetto di leggere con onestà la realtà che lo circonda. Quello che cerca di fare la mostra Dimensioni Variabili (Artistes et architecture, dimensions variables), al padiglione dell’arsenale di Parigi, è esattamente questo, individuare i temi su cui fermarsi a riflettere. Le inquietudini del contemporaneo, in cui è possibile ancora ricercare un terreno comune, trasformate in una sorta di gioco nel quale gli artisti sono invitati a presentare le loro proposte con le stesse regole e costrizioni dell’architettura.
Ciascuna opera presentata condivide l’assioma che ogni generazione eredita il peso di un patrimonio concettuale e fisico, una realtà che ci invita a comprenderne gli infiniti universi possibili, che invita ad esprimersi nel mondo che ci circonda e non al di fuori dello stesso. Inevitabile quindi, che il leit motiv dell’esposizione sia lo spazio e la sua percezione attraverso la misura come nozione fondamentale di questo rapporto: ogni visitatore può interagire con la misura dell’opera d’arte, “calcolarla, modificarla, comprenderla oppure respingerla”. Gli stessi ingressi alla mostra sono molteplici per aumentare le possibilità di confronto tra le installazioni artistiche.
Curiosiamo tra le cinquanta opere presentate: Liam Gallick con il suo Suspended discussion si appropria degli elementi formali dell’architettura di un generico ufficio riproducendo un divisorio insonorizzato tra postazioni di lavoro, che rende impossibile qualsiasi comunicazione tra colleghi; la Cabane èclatèe aux plexiglas di Daniel Buren è una cellula spaziale che nega la presenza di porte e finestre, adattando il proprio allineamento al luogo dell’esposizione e trasformandosi in un dispositivo caleidoscopico; la scultura in bronzo Parking garage di Rita Mc Bride riflette sull’estetica dei parcheggi multipiano, che occupano le nostre città come presenze invisibili, prive di ornamento, che nascondono alla vista il proprio mondo interno.
La mostra offre, attraverso l’esperienza artistica, possibili punti di discussione in merito alla natura dell’opera architettonica. Quest’ultima, piuttosto che vivere di solitaria autonomia, dovrebbe offrire la possibilità di riscoprire il ruolo di dispositivo sociale fortemente calato nella realtà e nel suo essere-per-gli altri; trovare le sue ragioni al di fuori di sè oltre che all’interno dei confini disciplinari. Joseph Beuys diceva che “l’arte sta dinnanzi a sè stessa come domanda di relazione, nel suo rapporto con il tutto che non è arte”, ed è questo l’affascinante spirito che pervade la straordinaria esposizione parigina.