Se si dovesse riassumere in una frase concisa la dimensione artistica di Denis Riva, in arte Deriva, si potrebbe dire che si tratta di un artista il cui intensissimo portato autobiografico amplifica e al tempo stesso si amalgama al suo contesto. L’opera di Riva è frutto di una ricerca paziente, un profondo assorbimento della realtà che esperisce in prima persona e che diventa il centro propulsore dell’occasione creativa. Una realtà osservata secondo prospettive taglienti, che vanno dritte al punto. Deriva coinvolge il corpo nella produzione artistica, dove ritrova forza la performance, tralascia gli orpelli concettuali e intellettualistici di buona parte della scena contemporanea per tornare, invece, artigianale e tattile.
Ma veniamo alla mostra, Carte sospese che si terrà nella suggestiva sede espositiva di Atipografia, galleria di Arzignano (VI) che riaprirà le sue porte dal 6 Febbraio al 26 Marzo per ospitare la selezione dell’artista. Il tema della sospensione, con il quale Denis si confronta perdendosi nei paesaggi a lui vicini, è l’occasione per fare di ogni segno un indizio che aspetta di essere estrapolato e decifrato, continuamente verificato.
Artwort ha rivolto all’artista alcune domande cogliendo l’occasione della sua mostra per condividere qualche riflessione.
In che modo si legano, nel tuo lavoro, l’ossessione per il collezionismo e la produzione dell’opera d’arte?
Collezionare carte e oggetti è sempre stato un modo per riflettere sul tempo, non lo faccio in modo ossessivo, spesso la ricerca e il ritrovamento di cose avviene casualmente. I supporti abbandonati e la storia che le carte contengono danno un contributo romantico alla mia produzione e alle mie riflessioni. Osservare l’abbandono con occhi puliti e comprensivi resta una prassi importante.
I “paesaggi di carta” che emergono dai lavori selezionati per la mostra suggeriscono una sorta di convergenza di diverse scritture, di sfondi che improvvisamente si animano ed entrano in una feconda competizione con gli elementi in primo piano e viceversa. Che ruolo ha, in questo senso, l’utilizzo della tecnica mista?
La tecnica mista è sempre stata nelle mie corde. M’impegno molto nella sperimentazione di nuove tecniche o assemblaggi improbabili e mi diverto a distruggere e trasformare senza sosta ciò che creo. Diventa difficile ricordare e a volte comprendere cosa stia combinando, anche perchè lo sto facendo da molto tempo. Stratificare varie possibilità di tecnica è una base vitale per accedere e galoppare su territori umidi e fertili, proprio come il compost. In questi ultimi anni sono arrivato ad una sintesi nella rappresentazione del paesaggio attraverso una sorta di gioco dove i paesaggi, di solito inizialmente pittorici, vengono sostituiti dalla carta. Questa procedura può cominciare anche da un solo elemento, generalmente l’acqua, per poi arrivare in alcune opere alla copertura completa della pittura. Così, nella mente dell’osservatore potrebbe nascere un dubbio: l’occhio si illude per sorprendere i pensieri.
È interessante notare come il paesaggio viene declinato nelle tue raccolte di opere trasformando continuamente il punto di vista: in certi casi è frammento, rapporto tra il singolo elemento e il contesto in cui è inserito, in altri diviene vibrante collisione tra oggetti/soggetti; si sofferma sulla potenza evocativa del naturale, o al contrario, diventa il luogo dell’introversione e dell’onirico. Cos’è per te il paesaggio e in che modo attingi ad esso per produrre la tua arte?
Vivo il paesaggio che mi circonda ogni giorno, ne faccio parte ed è come in un sogno. Da qualche anno vivo a stretto contatto con la natura, questo ha cambiato il mio modo di realizzare alcuni lavori e mutato gradualmente i miei sensi, la percezione e l’osservazione. La strada che percorro a piedi per andare in studio è un segmento che diventa infinito; qui posso trovare, per il momento, tutto quello che serve a stimolare i miei ragionamenti. La natura è talmente spietata e sincera da poter provocare, anche nella visione più semplice, esplosioni interiori simili al big bang.
Un altro tema che mi sembra emergere dai tuoi lavori è quello della narrazione, intesa come un racconto di una successione di eventi e di un tentativo di indagare un piano temporale, tramite un linguaggio verbale o visivo. Come si inserisce il tuo lavoro in questo tema?
Non costruisco in modo volontario delle narrazioni. Lavorare è un continuo susseguirsi di azioni e momenti statici, sovrapposizioni divine, improbabili. Quello che di solito resta sono immagini fluide fatte di attimi e ricordi fusi assieme nel momento della loro nascita. A volte, invece, faccio dei veri e propri tentativi di ricostruzione dei ricordi per far nascere qualcosa di nuovo e inaspettato. Il linguaggio verbale è sempre presente nelle mie opere come titolo, scritto in piccolo, appena visibile, ma elemento fondamentale di lettura della narrazione non voluta.
Grazie e complimenti per il tuo lavoro.
Recap:
Carte Sospese
Atipografia, Arzignano (VI)
dal 6 Febbraio al 26 Marzo, dalle 18.00 alle 21.30