Il cortocircuito tra immagine e nuove forme del potere era già stato affrontato a dal filosofo francese Jean Baudrillard qualche decennio fa. L’immagine privata del suo valore denotativo, nella sua dinamica autoreferenziale, sarebbe diventata il più potente strumento con cui il potere esercita il suo dominio. Il potere, a sua volta, divenendo immagine di se stesso, assumerebbe i connotati di un sistema sempre più astratto ed aleatorio, e pertanto inafferrabile e assolutamente pervasivo.
L’artista britannica Amanda Beech focalizza la sua ricerca artistica su questa nuova natura dell’immagine e sulle sue relazioni con i sistemi di dominio. I suoi video percorrono l’immaginario sintetico neoliberale, da cui l’artista isola ed estrae delle parti per poi accanircisi contro.
In Final Machine, una coreografia incalzante di suoni, forme geometriche e colori monotoni procede spinta dalla voce che recita implacabilmente alcuni passi di Filosofia e filosofia spontanea degli scienziati di Louis Althusser e testi forniti alle nuove reclute della CIA.
Attraversando il deserto di Mojave, i misteriosi edifici abbandonati nella giungla equatoriale e il traffico notturno di Miami, Final Machine rappresenta un tempo senza futuro, bloccato in un continuo e claustrofobico presente.
Molto più esplicita è la critica al modello culturale neoliberale di Sanity Assassin. L’insulsa retorica individualista del successo e del profitto a qualsiasi costo è rappresentata mediante delle riprese realizzate nella città di Los Angeles, contro cui vengono scagliate a raffica citazioni di Thomas Mann, Bertold Brecht e Theodor Adorno, i critici più caustici della modernità e del tardo capitalismo occidentale.
La “politicizzazione dell’arte”, auspicata da Walter Benjamin nel suo Saggio sull’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, come forma di resistenza alla “esteticizzazione della politica”, è ormai diventata un’urgenza da cui l’arte non può più sottrarsi. Dal momento che il sistema di dominio e di gestione del potere ha assunto l’immagine come proprio elemento centrale, ponendo nuove sfide, non solo di carattere politico, ma anche (e sopratutto) di carattere estetico. L’arte è suo malgrado chiamata a confrontarsi con esse. Eludere la sfida non è possibile e tirarsi indietro significherebbe soccombere e rinunciare ad ogni possibilità di autonomia.