Cosa vuol dire immortalare lo sguardo rituale che ci lanciamo magari allo specchio e riserviamo solo a noi stessi? Togliendo con grazia la barriera che difende questi spazi intimi, le fotografie di Germana Stella si spingono oltre la dimensione protetta di questo monologo privato.
Di intimità, infatti, è piena la sua fotografia. Guardare i suoi autoritratti è come sfogliare un album di famiglia o incappare in un diario aperto a tutti.
Nelle tue fotografie, i corpi non sono mai completamente vestiti o abbelliti. Esattamente come negli autoritratti, però, non c’è nulla di morboso, in questa continua evidenza. È difficile da raggiungere e far comprendere, questa intimità aperta?
La definizione «diario personale» è perfetta direi, quello che faccio è una ricerca personale, ma permetto a tutti di osservarla, farsi un’idea di me, giusta o sbagliata che sia, permetto a tutti di “amarmi” oppure “odiarmi”, senza dare troppa importanza a questo.
Chi mi osserva, ho potuto notare con il tempo, nella maggior parte dei casi riesce a percepire quello che voglio raccontare. A volte bisogna essere delle persone profonde, altre solo un po’ sognatori. È certo che le mie fotografie non sono per le persone superficiali e bigotte. Non è difficile farmi comprendere, perché non è qualcosa di cui mi preoccupo molto.
A questo proposito, riesci a gestire la censura dei social in modo bello, tipo qui. Ma come ti senti al riguardo, in generale e rispetto alla tua personale produzione?
Credo che avrei prodotto le stesse cose anche se i capezzoli, o comunque un corpo nudo in generale, non fossero stati ancora un tabù. Non credo di essere brava a gestire un corpo completamente nudo, che rimanga comunque nel mio stile, ci ho provato ma non mi entusiasmava il risultato. Continuerò a provarci comunque, perché i vestiti proprio non mi piacciono nelle mie fotografie.
Mi piacciono davvero tanto i doodle sulle tue foto. Come ti è venuta quest’idea?
Gli scarabocchi sono nati per caso, avevo in mente di realizzare delle fotografie da spennellare con la vernice dopo la stampa, poi un giorno, mentre provavo a farne una in digitale come prova, mi sono resa conto che mi piaceva, la prima fotografia scarabocchiata l’ho fatta con Paint ed è questa.
La dimensione intima delle tue foto è erede degli inizi, quando hai cominciato a scattare nella casa in cui vivevi durante l’università?
Non so se l’atmosfera universitaria abbia influenzato la mia fotografia, sicuramente è stata una fase importante della mia vita e della mia crescita, quindi senza dubbio c’è anche un po’ di quegli anni nelle foto che faccio. Onestamente non saprei definirti esattamente cosa mi ispira e perché faccio determinate scelte di luoghi, colori o movimenti, viene tutto assolutamente naturale. In alcuni casi si vede anche, non c’è preparazione o attenzione nei dettagli, perché io sono così: non sono né preparata, né attenta.
Le tue idee nascono durante le passeggiate con Jolie. È importante essere da sola, in quel momento?
Non ho bisogno di solitudine, posso portare anche una squadra di pallavolo con me durante le passeggiate con lei, tanto mi estraneo dal resto ed esistiamo solo noi due. Usciamo due o tre volte al giorno e quello è il nostro momento: mi porta sempre nuovi stimoli perché tutti i problemi, lo stress, i malumori, il mal di testa, le bollette, l’affitto, li lascio a casa.