Raccontare, comprendere e immaginare la trasformazione della città: approfondiamo con Alessandro Colombo, managing editor di STUDIO Architecture and Urbanism Magazine, gli aspetti più contraddittori delle metropoli. La narrazione può diventare uno strumento potente, nelle mani di architetti e urbanisti, per incidere sulla percezione della città e denunciare le criticità sulle quali sviluppare i progetti della società futura.
Pensi che la struttura sociale e fisica della città contemporanea stia diventando sempre più fragile?
Il tema “terrific” nasce dall’idea di interrogare la contemporaneità attraverso il racconto di eventi ed elementi strutturali, più o meno positivi e più o meno negativi, che in vari modi influenzano la trasformazione della città.
Come introdotto dall’editoriale “She lost control, or not”, STUDIO 11: Terrific cerca di far luce su quelle dinamiche urbane, socio-economiche e culturali, così come sulle pratiche architettoniche e urbanistiche che contraddistinguono l’attuale condizione urbana a livello internazionale, nel tentativo di decodificare le ragioni e le caratteristiche principali di assetts urbani più o meno estremi: dal ruolo dell’informalità, alla rilevanza della solitudine, fino alle prospettive visionarie che determinano i de-cicli urbani.
Come avete affrontato il tema della trasformazione in Terrific?
Cercando di individuare quali sono i fattori che regolano le trasformazioni urbane radicali, Terrific racconta le storie della resistenza al turismo di alcune popolazioni di pescatori in una simbiosi tra pratiche astrali e la realtà moderna di Chennay, così come del significato delle “eterotopie urbane” nel quadro delle contraddizioni dell’economia moderna e che possono portare ad un possibile collasso della città stessa.
Abbiamo cercato di introdurre una prospettiva che cercasse di andare al di là della semplice analisi urbana, e che si interrogasse sulla rilevanza semantica di concetti e teorie, sulla sua influenza nella trasformazione urbana e sugli artefatti umani e architettonici. A partire dal dibattito anglosassone di Terrific come bello e della sua accezione positiva, abbiamo portato avanti l’obiettivo di evidenziare le differenze tra i settori geografici mondiali nell’interpretazione di questo concetto, attraverso una selezione di contributi il più possibile diversificata.
Abbiamo costruito il numero sviscerando quei micro-cosmi d’azione propri degli agenti urbani, che in vari modi influiscono sulla città, attraverso pratiche e processi più o meno consolidati e riconosciuti. È il caso del Festival del Cinema d’Architettura che già da qualche anno si tiene a Lisbona, per il quale abbiamo intervistato uno dei curatori, Antonio Brito Guterres, e che racconta il tema della cittadinanza urbana attraverso la chiave di lettura dell’architettura e dell’urbanistica, mostrando documentari sulle problematiche attuali e urgenti, come quelle della polarizzazione e dell’esclusione sociale. Non è la prima volta che STUDIO approfondisce i linguaggi audio-visuali e il rapporto con la tecnologia che raccontano la città, perché crediamo che costituisca una componente importante della critica d’architettura e della città più in generale, in quanto strumenti più vicini ai non-professionisti del campo degli studi urbani. In questo modo, riusciamo a parlare di architettura senza architettura.
Quali sono gli strumenti e linguaggi per raccontare la città con una pubblicazione?
L’articolo su Chennay dialoga con “Valuing the inheritance. An intangible perspective” pubblicato sul numero 09 (Beyond) nella misura in cui entrambi si interrogano sui significati delle trasformazioni urbane nel sud-est asiatico in scale analitiche differenti. Allo stesso modo, l’articolo-manifesto di Allen e le prospettive visionarie e progettuali proposte da Seth McDowel per il futuro di Hong Kong, con la sua “City of Blubber”, permettono durante ogni numero di mantenere alta la tensione intellettuale e mostrare da punti di vista diversi e differenziati, contesti geografico-spaziali e concetti apparantemente simili.
In questo senso, STUDIO da un lato pretende seguire lo sviluppo urbano nel tempo, dall’altro adotta una prospettiva antropologico-etnografica di ricostruzione delle narrative urbane, lasciando libero spazio alle forme d’espressione di chi scrive, di chi racconta, e di chi vive la nuova questione urbana. Di fatto, cerchiamo di influenzare il meno possibile i linguaggi di chi ci riporta storie urbane.
Con questo obiettivo, gli strumenti e le prospettive di metodo della comunicazione visuale, sono per noi particolarmente importanti sia attraverso il reportage fotografico, sia attraverso le varie dimensioni del linguaggio artistico che in modi diversi influiscono e modificano la realtà. Affrontiamo in questo modo le eterotopie dell’urbano che rappresentano temi importanti del dibattito culturale, dalle questioni della sicurezza urbana, alla marginalità nelle sue varie declinazioni, fino alle pratiche urbane più dissidenti di uso dello spazio pubblico, come è il caso del parkour.
Infine, il linguaggio grafico e le interviste cercano di analizzare e interpretare l’urbanità rivisitando l’ironia e i fenotipi intrinsechi negli studi urbani, avviando conversazioni astratte che guardano a proiezioni future, come il caso delle prime, oppure raccogliendo il punto di vista di attori privilegiati in quanto parte integrante dei processi urbani, com’è il caso delle seconde.
Terrific ha due principali novità, entrambe con l’obbiettivo di riunire virtualmente voci eterogenee del panorama culturale internazionale: da un lato la definizione in progress del nostro network di corrispondenti invitati, dall’altro notizie estemporanee dal mondo. In questo modo, STUDIO amplia i propri confini configurandosi come mezzo di comunicazione tra gli urban practicioners, arricchendo i contenuti di ogni numero attraverso un legame costante con l’attualità delle trasformazioni urbane.
Raccontami di STUDIO: quali sono le sue origini e perché lo considerate un progetto culturale?
STUDIO Architecture and Urbanism Magazine è un processo collettivo di riflessione sulla città, un dispositivo di intermediazione tra e nelle voci che la producono e gestiscono.
Utilizza il supporto editoriale come dispositivo, nato da un complesso percorso di maturazione di uno studio di architettura milanese nel 2011, RRC Architetti diretto da Romolo Calabrese, che fonda il magazine a seguito della necessità di costruire una piattaforma di auto-riflessione teorica.
Sono arrivato in redazione nel 2014 e da allora, inizialmente come parte dell’editorial board, poi come corrispondente estero in Portogallo, e infine come managing editor, ho sempre considerato STUDIO uno strumento fondamentale di supporto intellettuale alla mia professione di urbanista. È composto da un equipe multidisciplinare: come dice il nostro manifesto generale, e l’introduzione al numero 10, “è fatto da architetti, ma non è solo per architetti”. Lo consideriamo un progetto culturale indipendente prima di un magazine, perchè è un complesso percorso di ricerca, visionario e a tratti sarcastico, sulla condizione della città.
Attraverso i contributi provenienti dalle nostre call for papers, ma anche dai preziosi materiali che ci arrivano dalla nostra rete internazionale di corrispondenti, ricerchiamo notizie in presa diretta e estemporanea di ciò che succede nelle realtà urbane internazionali. Il prodotto cartaceo che viene pubblicato trimestralmente è quindi solo uno dei prodotti, quello evidentemente più strutturato, articolato e che permane nel tempo al di là dei canali di comunicazione offerti dalla rete. Rimane nel tempo nelle librerie, negli uffici, nelle raccolte private delle nostre case, ci accompagna nei viaggi di lavoro come lettura ispiratrice.
Attraverso questo progetto, riusciamo a riflettere su noi stessi e allo stesso tempo a relazionarci con realtà di cui difficilmente avremmo notizie dettagliate, dialogando con le esperienze di altri attraverso un un linguaggio transdisciplinare. Quello che è fondamentale, è che si parli di città, della sua costruzione, delle pratiche sociali. Di come la città influenza la vita delle persone e viceversa.
Quali sono le prospettive future di STUDIO?
Il progetto è in continua evoluzione, cerchiamo di portare innovazione in ogni numero, nonostante ciò implichi un complesso lavoro volontario e di passione, dato anche il difficile momento storico che l’editoria e la cultura indipendente stanno attraversando ormai da anni. Cerchiamo di innovarci sia nelle metodologie di lavoro interne, sia nella forma di restituire la realtà al lettore.
Stiamo cercando di definire nuovi strumenti per aprire sempre di più STUDIO alla realtà, passando dalla carta stampata alle parole degli abitanti di un luogo, e viceversa. Le varie tematiche che percorrono i numeri hanno quest’obbiettivo di stimolo intellettuale collettivo, di stimolo ad una coscienza comune sull’importanza del dibattito. Le interviste e il contatto costante con i nostri corrispondenti sono una forza importante di questo tipo all’interno del nostro progetto.
Nel prossimo numero, Ephemeral, cerchiamo di fatto di indagare le tematiche della temporaneità, degli usi e disusi, delle attività nomadi e istantanee e non, che disegnano e costruiscono la città concretizzandosi in azioni più o meno tangibili e più o meno immateriali. Ephemeral sarà inoltre un laboratorio di sperimentazione e consolidazione delle novità editoriali che abbiamo proposto nell’ultimo numero.