Immaginate di passeggiare per le vie di New York, precisamente lungo la 52nd Street che conduce al MoMa Museum, una strada come molte nella grande città, in cui è impossibile non avere lo sguardo fisso in alto verso le torri di vetro. Ad un tratto la vostra attenzione sarà catturata da un piccolo fronte a due piani, raffinato, si potrebbe dire modesto, eppure così prepotente tra quei giganti. La sua introversione vi incuriosirà: è la Guest House che Philip Johnson ha progettato per la Signora Rockefeller nel 1950.
I mattoni rossi della facciata interrotti da un alto portone in legno, cedono il posto ad un piano vetrato scandito da elementi in acciaio verniciato, che ricordano i disegni di studio di Mies van der Rohe delle case a corte, ai quali l’architetto si affida per risolvere il dilemma del piano superiore che lui stesso ha considerato “inesistente”, poiché in quel momento realizzava solo edifici ad un livello. È evidente l’onestà tettonica che Johnson apprezzava del lavoro di Mies, nel trasformare la costruzione in un atto poetico curato nel dettaglio.
La facciata nasconde la planimetria dalla forma allungata. Un armadio si interpone tra l’ingresso e il resto della casa, il cui interno è caratterizzato da un flusso visivo continuo di spazi delimitati e sempre più introversi. Un camino scultoreo, accompagnato da un grande tappeto e poltrone, circonda il focolare familiare all’interno di una stanza accogliente. Sulle pareti in mattoni bianchi gli oggetti raccontano gli interessi della famiglia Rockefeller, al tempo residenti.
Vi sono pochi elementi d’arredo, un tavolo circolare, un pianoforte, un armadio che nasconde un piccolo bar ed una scultura, disposti sul pavimento bianco e lucido che intrappola e diffonde la luce. Semplici tendaggi separano la stanza dalla “camera di vetro”, la quale accoglie uno specchio d’acqua incorniciato dalla struttura nera della vetrata. Una piccola fontana, un albero, i dettagli neri e bianchi creano un piccolo ninfeo privato, un luogo sereno e isolato, attraversabile solo mediante i blocchi in travertino bianco che conducono alla camera da letto.
Questo piccolo scrigno modernista accoglie in sé un pezzo di storia: la residenza viene interpretata dall’architetto come vetrina per la famosa collezione della committente. Ha ospitato molte opere dei più grandi artisti del ventesimo secolo, diventando un’estensione del MoMa. È stato un luogo che ha accolto gli artisti e ha corteggiato potenziali donatori; esso racconta la storia di una famiglia che ama l’arte e di un architetto, all’inizio della carriera, che non può fare a meno di seguire la sua passione.
Semplice ed elegante, governata dal minimalismo, è stata residenza, galleria d’arte e oggi nuovamente residenza: gli arredi sono diversi, è stata aggiunta una cucina nel seminterrato, eppure la sensazione è ancora quella di un luogo invariato nel suo spirito, la cui bellezza risiede nei materiali e nella cura del dettaglio che Johnson ha voluto tramandare.