Suono, immagine e parola si fondono nella ricerca artistica del collettivo veneto Crispy. Il nome, dal “sound croccante”, nasconde un’indagine multidisciplinare che a partire da un’analisi sul presente si muove alla ricerca di un codice che ne disinneschi i dispositivi di potere. È un codice che si compone di estetica e politica e tramite queste elabora se stesso, facendo di suoni ed immagini i catalizzatori attivi di vettori evenemenziali. Incuriositi dalla forza dei loro immaginari, Artwort ha intervistato il collettivo per scoprire i dettagli della loro ricerca.
Crispy. Da cosa nasce il nome e qual è il vostro messaggio?
È un nome nato in circostanze ormai lontane da quelle che attualmente danno forma al progetto. Ora ci piace in qualche modo conservarlo per il tocco ironico che conferisce alla nostra proposta e per il senso di “rottura” che evoca. Ci siamo più volte interrogati se cambiarlo o meno, non nego che possa succedere prossimamente.
Quali sono i campi e le discipline che combinate?
La multidisciplinarità è alla base della costruzione di un linguaggio composito che possa muoversi all’interno del dibattito culturale contemporaneo. Per quanto la musica resti la forma espressiva privilegiata, questa è solo il veicolo più forte per far passare un lavoro di riflessione che coinvolge differenti campi di produzione e speculazione. Le nostre differenti formazioni, da quella filosofica sicuramente più coinvolta nella elaborazione teorica, a quella artistica concentrata sulla sperimentazione di linguaggi visivi, ci portano ad elaborare una ricerca a più livelli. A partire da queste basi e implementando i linguaggi che ci sembrano più interessanti ed idonei, sviluppiamo quanto più possibile la nostra identità.
Il vostro intento è creare un codice fatto di estetica e politica. Attraverso quali temi si sviluppa e in cosa consiste?
I temi che sviluppiamo sono quelli che l’urgenza del presente ci pone di fronte. Che estetica ed etica siano le due modalità con cui l’individuo si relaziona all’ambiente in cui è inserito è cosa nota, il passo politico è un passo di più forte responsabilità che riteniamo necessario, soprattutto nel delicato momento storico che ci troviamo a vivere. Sicuramente negli ultimi anni il dibattitto sui media non può che essere stato al centro di qualsiasi riflessione decidesse di interrogarsi e “negoziare” con la contemporaneità, questa riflessione necessita di pratiche di intervento e la ricerca ed attuazione di queste è la cifra del codice che ci individua.
Da cosa vi lasciate ispirare?
Più che di ispirazione parlerei di ricerca, la quale è sicuramente mossa dall’urgenza del reperimento di nuove forme d’azione e nuovi immaginari per ricalibrare la propria presenza all’interno del dibattito odierno.
La vostra multidisciplinarità porta anche all’organizzazione di eventi. Qual è il ruolo del pubblico all’interno del vostro lavoro?
Il pubblico, se così si può chiamarlo, come gli artisti con cui entriamo in contatto, sono nodi della rete in cui siamo inseriti, individui con cui condividiamo una visione e un approccio nella ricerca.
Un evento o un’iniziativa in particolare che più ricordate?
Sono numerosi gli episodi in cui il supporto di chi ha riconosciuto nel nostro lavoro qualcosa di valido è stato per noi una forza propulsiva per andare avanti. Dalle minacce dei nuovi gruppi di estrema destra di osteggiare nostre manifestazioni, fino alle più banali difficoltà che le logiche di mercato proprietarie delle strutture ci hanno messo di fronte, abbiamo sempre potuto contare su un sostegno forte e accorato. Approfittiamo forse di questa domanda per sensibilizzare sulla necessità della messa a disposizione di luoghi liberi ed idonei alla realizzazione di una attività di promozione culturale valida e continuativa.
Siete un network creativo. Come influisce l’apporto dei vari artisti sul vostro lavoro?
Soprattutto nei primi anni di attività gli artisti con cui abbiamo lavorato sono stati artisti ai quali sentivamo di dovere qualcosa, figure importanti per la nostra formazione. La dimensione dell’ascolto ha lasciato il posto a quella del dialogo, della condivisione creativa e dell’elaborazione congiunta di contenuti.
Nelle vostre serie c’è sempre una visione deformata e plurisovrapposta della realtà così come lo è la vostra arte, una commistione di più infrastrutture comunicative. C’è una correlazione tra i due aspetti?
Più che di arte parlerei ancora una volta di costruzione di immaginari e modalità di intervento, le quali non possono che partire dalla profonda analisi della realtà in cui si muovono e necessitano naturalmente di infrastrutture comunicative commistionate per rendere ragione di tutti I livelli di complicazione del reale con i quali interagiscono. Direi dunque che la correlazione tra i due aspetti è naturale e necessaria.
Un aspetto fondamentale è la musica. Verso che tipo di avanguardie sonore siete diretti?
Sicuramente quelle che si stanno configurando come sonorità del post-globale, dunque forme di espressività che restituiscano il presente.
State pensando di aprire i vostri orizzonti verso nuove collaborazioni o nuove commistioni creative?
L’apertura al dialogo e la riflessione sui mezzi con cui questo si attualizza sono alla base del nostro lavoro ed esigenza primaria della nostra pratica espressiva, non possiamo dunque che definire il nostro orizzonte in funzione di una dinamica collaborativa.