Scultura come gesto della mano che accarezza le forme equivalenti della terra.
In questa delicata azione si manifesta tutta l’opera dello scultore torinese Giuseppe Penone, artista legato all’arte povera ma vicino solo a se stesso nell’esprimere la valenza rivelatrice della natura. L’artista fa uso di materiali poveri per di più di origine vegetale per creare un’interazione profonda tra uomo e natura, tempo naturale e tempo umano che nella sua poetica diventano una cosa sola.
Le vene d’acqua che sgorgano dal terreno scorrono in rivoli che confluiscono, come i rami nel tronco, come le dita nel palmo di una mano, come il bronzo nella matrice di un albero.
Il rapporto è assolutamente paritario, non esiste forza che vince sull’altra: noi siamo aria, acqua, terra così come l’erba, la corteccia, le foglie sono corpo, pelle, superficie. Da questo azzeramento di gerarchie nasce la sua scultura. Respirare è scultura, gesto semplice e assoluto: linguaggio che coinvolge la vista, l’udito, il tatto e occupa lo spazio. Prendere in mano un pezzo di creta, incidere il legno, toccare il tronco di un albero, tutto nella scultura è gesto primitivo, forza lenta e fluida che agisce e si cancella nel tempo; tempo scandito dagli anelli della vita di un albero che è legno scolpito, inciso, trasformato, simulato nel bronzo o ricreato da un tocco di legno.
Il pensiero, suggerito da Michelangelo, è animista: la forma è già presente nel blocco di marmo, nella natura, nelle nuvole.
Non si inventano forme, ma si indicano forme.
Si indicano la fluidità di un albero, la capacità mimetica del bronzo, la pesantezza gravida della pietra, la leggerezza di un respiro. La sua potenza sta nella rivelazione e nell’interazione essenziale ed esistenziale con la natura grazie alla quale Giuseppe Penone, dagli anni ’70 ad oggi, continua ad incantare regalando al pubblico un diretto contatto con il respiro mistico e fragile della Terra.
La mostra Matrice al Palazzo della Civiltà Italiana di Roma è stata preziosa occasione per avere un confronto con l’artista.
Nella mostra Matrice ha presentato quindici opere dagli anni ’70 ad oggi. Come è avvenuta la scelta?
Questa mostra è nata dall’interesse personale di Pietro Beccari, Presidente e Amministratore Delegato di Fendi, per il mio lavoro. Ho visto prima lo spazio di Palazzo della Civiltà Italiana e ho immaginato cosa potesse funzionare in quello spazio. La mostra riunisce i lavori degli ultimi 40 anni ma non si tratta di una retrospettiva. L’esibizione inizia con una serie di lavori di fine anni 60’ inizio 70’ e si conclude con la nuova opera “Matrice” che occupa un’intera navata della mostra. Inoltre, c’è anche una sorta di mostra all’interno della mostra: si tratta di una selezione di 40 disegni, a partire dagli anni 60’ ad oggi, incentrata sui progetti che ho realizzato negli spazi pubblici, dalle foreste alle piazza delle città. Credo che sia una parte molto speciale.
La collaborazione con Fendi a Roma ha dato vita ad opere come Foglie di pietra in cui il bronzo dialoga con la pietra. Com’è nato questo incontro?
Foglie di Pietra è composta da due elementi: il bronzo e il marmo. Ho scelto il bronzo perché è un materiale vivo, volevo che l’opera assumesse una presenza vegetale in grado di trasformarsi cambiando colore con il passare del tempo. Il marmo invece dialoga con l’ambiente, nello specifico le sue venature, che sono la sua memoria geologica, rappresentano la stratificazione storica del posto e la creazione di Palazzo Fendi costruito in epoche diverse. Inoltre, il blocco di marmo richiama i capitelli delle colonne romane.
Nelle sue opere c’è un continuo scambio tra uomo e natura in cui è fondamentale la componente temporale. Nell’opera “Continuerà a crescere tranne in quel punto” c’è un arresto dell’accrescimento vegetale. E’ un gesto di costrizione dell’uomo sull’albero che possiamo considerare in un rapporto univoco o reciproco tra uomo e natura?
Ho iniziato fin dai primi anni, dai primi lavori, nel 1968, a lavorare in rapporto con la vegetazione e con la crescita degli alberi. Uno dei primi lavori si basava sull’idea di trattenere la crescita dell’albero con la mia mano. Avevo sostituito la mia mano con un calco in acciaio e bronzo che avevo opposto all’albero. Era un gesto minimo di scultura. Tutto il mio lavoro si è sviluppato a partire da questa prima opera, dal rapporto tra l’uomo e ciò che lo circonda e il cambiamento che una presenza può creare nelle cose che lo circondano e, viceversa, come il cambiamento delle cose che lo circondano influiscono su una persona. In quel caso, il lavoro era basato sull’idea del tempo perché la crescita dell’albero, che è un essere che si può percepire come solido, se considerato nella sua crescita nel tempo, diventa una materia fluida e plasmabile. Inoltre, strutturalmente l’albero cresce a cerchi concentrici, quindi si può ritrovare la forma dell’albero all’interno del nocciolo esistenza: è un essere che memorizza la sua forma. La sua forma è necessaria alla sua vita, quindi è una struttura scultorea perfetta, perché ha la necessità dell’esistenza. È per questa ragione che mi sono interessato agli alberi e ho sviluppato una serie di lavori considerando l’albero non sotto un punto di vista simbolico, ma sotto un punto di vista reale e anche di materia.
Nella sua vita artistica è riuscito a traslare l’opera dallo spazio al tempo. Le sue opere di ieri vivono ancora oggi?
Il tempo è sicuramente molto importante, specialmente nella scultura. C’è bisogno di un tempo per elaborare la forma. Si può avere l’idea, ma poi per realizzare l’opera c’è bisogno di un tempo di esecuzione. Nel caso poi di un processo di fusione in bronzo, i tempi diventano molto lunghi. Il rapporto con il tempo è interessante anche per un’altra ragione, perché quando noi vediamo un oggetto, un semplice sguardo che possiamo avere su un paesaggio o su qualsiasi altra cosa, quello che vediamo appartiene al passato, quindi abbiamo un’immagine del passato e abbiamo soltanto come nostra realtà il futuro possibile, incerto: passato-futuro. Ma se si considera l’espressione scritta e parlata, in gran parte dell’attività l’uomo usa il tempo del verbo presente. Questa è un’illusione, un desiderio dell’uomo. Se si considera un’opera d’arte, l’intenzione dell’artista è rendere presente il suo pensiero, la sua persona, nel tempo.
È curioso di sapere come saranno le sue opere tra 100 anni?
Quando lavori nello spazio pubblico, credo sia importante non cercare di affermare l’identità precisa di un momento storico che è il nostro: l’opera deve poter collegarsi con il passato e con il futuro. In fondo si potrebbe anche dire che Foglie di pietra è semplicemente legata all’idea dell’albero come slancio, forza ed elevazione. Ma sottolinea anche il peso e il contrasto tra la forza di attrazione della luce e la forza di gravità. Il blocco di marmo dell’opera è lavorato mettendo a rilievo le vene che sono la memoria geologica della materia e scoprendo al suo interno un capitello che è la memoria storica di un materiale che da sempre è associato alla scultura.