Altrove Festival – Centro Arte Contemporaneo è uno tra i migliori festival d’arte pubblica in Italia e in Europa. Ogni anno per le vie di Catanzaro, l’evento coinvolge artisti mossi dagli stessi valori, accomunati dall’aver scelto la strada come luogo di manifestazione del proprio pensiero, del proprio sentire per valorizzare e rivitalizzare il centro storico della città. Un modo semplice e nuovo per riappropriarsi e riconoscere quei vicoli, quegli spazi spesso abbandonati grazie all’intervento di artisti come Gonzalo Borondo, 3ttman, Jorge Pomar (Amor), gli italiani Ciredz e Andreco.
Tra gli artisti, ad occuparsi delle installazioni per suggerire un insolito itinerario pedonale per i cittadini, ha partecipato lo studio di architettura GRRIZ che negli ultimi anni ha progettato e realizzato l’esterno del Padiglione Italia all’ultima Biennale di Architettura di Venezia e un laboratorio all’interno del Museo MAXXI di Roma.
In occasione del Festival, svoltosi tra il 20 e il 22 Luglio, abbiamo intervistato Luigi Greco del gruppo GRRIZ.
Come è nata la collaborazione con Altrove Festival?
Quando vivevo in Sicilia, con un gruppo di architetti designer con cui organizzavo eventi in posti abbandonati, ci siamo proposti per collaborare per la prima edizione del Festival. L’anno successivo sono stato richiamato e avevo già iniziato a collaborare con Mattia Paco Rizzi con il quale adesso abbiamo creato il gruppo GRRIZ, nome derivante dall’unione del mio e del suo cognome. Nell’edizione del 2015 abbiamo allestito e adattato alle esigenze del festival un pub chiuso in quel periodo in centro. In cinque giorni abbiamo allestito la sede di Altrove creando uno spazio per i ragazzi romani, chiamati 56 fili, che facevano serigrafie allestendo anche una vasta esposizione delle opere degli artisti che erano stati invitati.
Il nostro approccio, allora come sempre, è quello di creare elementi essenziali affinché eventi temporanei avvengano in spazi che acquisiscano un’altra vita. La nostra architettura intende trovare l’essenzialità anche nei gesti per costruire con utilità per i committenti e i visitatori. Il nostro è un lavoro performartivo, uniamo la vita quotidiana, il lavoro e la creazione. Ci siamo creati questa sorta di improvvisazione, vuoi un po’ perché sono contesti molto nuovi e non troppo strutturati, vuoi perché le possibilità economiche cambiano, noi progettiamo da lontano e poi andiamo sul posto dove costruiamo.
Questa filosofia della performance è un metodo che utilizzate anche in altri vostri lavori o è legata solo a questo tipo di eventi?
In genere quello che facciamo è sempre site specific. Dipende molto dal posto in cui lavoriamo. Per esempio per il festival in Danimarca la struttura doveva rimanere lì per una settimana e il contest è venuto fuori in modo un po’ diverso. Quest’anno i ragazzi di Altrove ci hanno chiesto delle strutture che fossero utilizzabili dalla sera, quando iniziano gli eventi del calendario, per essere poi smontati la notte. Da questa esigenza è nato il progetto con l’idea di rendere gli elementi dei pezzi trasportabili da massimo due persone per volta e allestiti velocemente. Uno dei temi è quello dello street food con lo scopo di trasformare le piazzette, spesso vuote davanti ai luoghi di ristorazione, in veri e propri dehor, posti dove la gente può sedersi, chiacchierare e consumare cibo. Ovviamente il progetto varia da caso a caso e in genere usiamo il legno di abete che si usa per la carpenteria, materiale molto malleabile e che riusciamo a lavorare meglio con le attrezzature che portiamo di volta in volta in diversi posti.
L’uso di questo legno ha ragioni tecnico-pratiche o proviene anche da motivi stilistici?
Sia io che Mattia siamo legati a questo tipo di legno. Mattia in particolare modo ha svolto questa grande esperienza in Francia con un gruppo di architetti che si chiamano Exscape e lavoravano con le assi di legno di abete; in un secondo momento anche io ho iniziato a fare progetti con loro e ogni volta che pensiamo ad una struttura la pensiamo in questo materiale facilmente reperibile e standardizzato ovunque, in Europa e nel Mondo. Il legno di abete permette di costruire delle strutture anche molto grandi con il solo uso delle mani non utilizzando strumentazioni meccaniche ma usando solo seghe potatrici e trapani avvitatori.
In questo modo riuscite a realizzare strutture dalle più piccole alle più grandi, coperture o mini coperture, luoghi dello stare o spazi di vita sociale.
Di formazione siamo architetti strutturisti però entrambi seguiamo molto il filone mondiale che lavora per la riappropriazione degli spazi pubblici e la costruzione di luoghi di socializzazione. Per questo ci capita spesso di lavorare con associazioni che da poco hanno preso uno spazio, hanno bisogno di allestirlo. Ci piace realizzare le cucine pubbliche, i forni, luoghi dove la gente può ritrovarsi e attivare momenti di convivialità. Il nostro lavoro non consiste solo nella fornitura di un elemento architettonico ma ci piace che dietro ci sia un percorso con associazioni o gruppi di persone per attivazione di spazi.
Quando questo spazio è diventato il centro storico, la dimensione è cambiata e anche il modo di percepire lo spazio e il progetto sono cambiati. Come avete elaborato l’idea di realizzare questi elementi all’interno di un centro storico?
Lavorare nel centro storico è stato bello perchè hai molti più stimoli: puoi ispirarti alle forme che spesso sono asimmetriche con colori e altezze diverse, non c’è quella “noiosità” delle architetture nuove. Per l’allestimento abbiamo pensato ad elementi-incastro di tutte le varie istanze: la necessità di realizzare più tavoli e panche per accogliere il maggior numero di persone in pochissimo tempo e da lì è venuta l’idea di elementi in serie utilizzando delle dime. Come variazione del tema principale abbiamo realizzato con la stessa forma elementi di altezze diverse per poter creare diversi espositori merchandising, elementi decorativi del palco e strutture funzionali per il bar e per deposito.
Come sono stati scelti i posti da abitare, i nodi, le piazze?
La scelta è stata fatta direttamente dagli organizzatori di Altrove: è stato un lavoro di coinvolgimento delle attività commerciali, sinergia fondamentale per la riuscita dell’evento.
Avete pensato al rapporto che le vostre opere avrebbero potuto avere con le opere d’arte?
Considerando il fatto che i muri sono in posti diversi non c’è un rapporto diretto. Ogni artista ha un linguaggio diverso. Per questa edizione però abbiamo verniciato gli arredi con i colori dell’edizione del festival con uno spruzzatore: anche quello sarà un gesto grafico che rimanda ai graffiti.
Pensate di utilizzare altri materiali che non siano il legno in futuro?
Man mano che cresceremo cresceranno le commesse e le richieste di strutture sempre più grandi. Anche se siamo specializzati nel legno, non escludiamo la sperimentazione di altri materiali. In genere il nostro approccio cerca di essere il più sostenibile possibile. Ora stiamo ricevendo richieste per strutture più grandi e permanenti che ci fanno avvicinare all’architettura per cui non potremo più usare la strategia del legno al naturale ma saranno necessari dei trattamenti. Come prossimi progetti abbiamo pensato ad un workshop in Liguria, e all’estero dobbiamo costruire una residenza di artista nella città di Thuin e realizzare un intervento di scultura alla scala urbana in uno spazio pubblico per conto della municipalità di Dubai coordinati da uno studio di paesaggio dal nome Orient Irrigation.