“Biografia ecognomica: mi chiamo Francesco Romanelli” queste le parole con cui l’artista pugliese si presenta al pubblico. Sofisticato, diretto ed essenziale, Romanelli nasce a Trani ma lavora a Lecce e riesce a plasmare qualsiasi oggetto o concetto secondo una visione personal-minimal. Una mente curiosa in volo verso sentieri apparentemente banali ma carichi di una manifesta volontà di leggere in senso approfondito e critico la realtà. Le sue opere sono disegni felici, segni ritmici su un blocchetto quadrettato, fotografie che ambiscono alla visione del “turista domenicale non specializzato” e colorano lo scenario di un artista emergente che ci parla senza mediazioni. Visual artist spontaneo e meditato, Francesco Romanelli riesce a comunicare attraverso le immagini significati nascosti e sottili: un’interpretazione estremamente originale distingue la sua identità artistica in continuo fermento e sperimentazione. Ad oggi ha al suo attivo una serie di progetti e mostre collettive e personali.
“Tra una cosa e l’altra crede che sia possibile cambiare il mondo, ma di questo non ne vuole parlare.”
Al pubblico ti presenti definendo te stesso in termini di Biografia Ecognomica. Un significato che sottende anche la tua espressione artistica molto essenziale. Se volessi descriverti “economicamente” in tre parole, quali useresti?
Automunito, tridimensionale, eroicomico.
*(i termini possono essere letti secondo il proprio gusto)
Le tue opere sembrano frutto di innumerevoli idee e sperimentazioni spesso non ricollegabili tra loro anche se la tua firma diventa leggibile nell’asciuttezza formale attraverso cui ti esprimi. Possiamo riconoscere una certa analogia o c’è totale diversità nei processi creativi di ciascuna opera o serie?
Credo che da un punto di vista intellettuale sia sempre più difficile abbracciare la complessità del presente e la conseguente difficoltà pratica di una sintesi. Da ciò ne deriva, per quanto mi riguarda un processo di perenne sperimentalismo, fatto di tentativi, che produce una naturale eterogeneità formale. Questa diversificazione sottende un percorso intellettuale comune da cui prende forma l’apparente e naturale incoerenza stilistica. L’ analogia, dunque, è constatabile.
Gli “Esercizi inutili” ricordano gli scarabocchi che usiamo fare mentre parliamo al telefono: un gesto quasi inconsapevole che porta al rilassamento mentale. Dietro questa apparente inutilità qual è il significato che dai o i pensieri che scaturiscono nella tua mente nel momento della realizzazione?
Nel suo libro Segmenti e bastoncini, Lucio Russo, scrive che “studiando la geometria euclidea ci si abitua a usare enti teorici, analizzabili con rigore, per descrivere utilmente oggetti concreti, senza confondere gli uni dagli altri.”
Io ho iniziato ad esercitarmi.
Sia in Esercizi inutili che in Disposizione ordinata riesci a creare un ritmo che diventa grafico, musicale, temporale, spaziale. Che ruolo ha il tempo in questa struttura ordinata?
Esercizi inutili e disposizione ordinata escludono ogni sorta di bulimia imaginifica.
Nell’euforica proliferazione di immagini in cui oggi siamo sommersi, con la conseguente de-realizzazione della realtà, entrambi i progetti sfuggono o quantomeno tentano di sfuggire a quest’eccesso, a questa ipericonocità messa in scena dall’economia dei media. In entrambi i progetti la matita pro-gressivamente cristallizza l’evento su un nastro quadrettato (il taccuino), attraverso una pratica distillata dal ritmo, dalla ripetizione.
E’ un ritornello retorico che non sa di che parlare, una litania che lavora con e nella dimensione temporale cercando di costruire un milieux de mémoire, senza commemorazione, collassando nel presente autoriferito.
La tua fotografia sembra collegarsi alle altre tue opere nella capacità di saper evidenziare attraverso la composizione uno o due elementi dal contesto in cui sono inseriti. Quanto casuale e quanto meditata è una tua fotografia?
Mi piace pensare l’immagine del turista domenicale non specializzato. Così, qualificarei quel quid di purezza che mi costringe e mi esalta. Un amatore di immagini decorose. Spero di diventare anch’io un buon turista domenicale non specializzato.
Nel tuo progetto Super super sale sale l’ installazione nelle Saline intende negare le abituali rappresentazioni d’arte quali la Land Art ma ne rimane legato nel senso, nella potenza espressiva e nel forte contatto, a prima vista alienante, con la natura. Che rapporto hai cercato di instaurare con il paesaggio?
Super super sale sale è un auto-presentazione del reale. Un’enunciazione proclamata da nessuno.
Qui è negata una costruzione interpretativa del reale, una messa in inquadratura, elusa a favore di una
rappresentazione naturalistica, dalla quale se ne ricava un’immagine pura che restituisce la concretezza e la cruda irripetibilità del fatto reale. Questa constatazione fattuale, dissolve il soggetto nella contemplazione e nell’attenzione, di – qualcosa che esiste, semplicemente – per dirla in termini di stupore Wittgenstiano o, meglio, di qualcosa che insiste, in una specie di spazio curvo in cui più ti avvicini, più ti sfugge o più la possiedi e più ti manca, questo in termini Lacaniani. Questa distanza estetica dal reale della cosa, è congegnata mediante l’accostamento di componenti eterogenei, antropologicamente pregnanti, presenti nella stessa dimensione prossimale, composti in una medesima inquadratura sotto forma di apparizione spettrale. Ecco che nella loro presenza fenomenologica, con il carattere minimo del particolare, frutto di un’immanenza quotidiana, la super-utilitaria, la cartolina d’epoca riposta sul cruscotto dell’auto, i pacchi di sale impercettibili e la mastodontica montagna bianca di sale, atomizzano il tempo e costituiscono quel sistema relativamente chiuso e autosufficiente del visivo che comprende tutto ciò che è presente nell’immagine:
-Super utilitaria – Fiat 126 giallo positano, anno 1981 – proprietà di Michele Panunzio
-Cartolina d’epoca in cui sono rappresentate le “Le più grandi saline d’Europa”
-10 pacchi di sale riposti nel vano bagagli (chiuso)
-Montagna di sale
A quale opera ti senti più legato?
A nessuna. Tutte, mi scontentano.
A cosa ti stai interessando in questo ultimo periodo?
Ho trovato una piccola fisarmonica di colore verde, con un tasto rotto, la guardo spesso. Ho ripulito un paio di vecchi occhiali da lavoro, ogni tanto li provo.
So dove cresce la salicornia, attendo la primavera per poterla raccogliere.
Tento la lettura di un manuale pratico per l’operaio tornitore e fresatore del 1964 edito da Hoepli, firmato Silvano.
Francesco Romanelli
Lecce
Ott 2017