Andrea de Franco è un artista pugliese che vive tra Bologna e Francavilla. Ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Lecce e successivamente Illustrazione ad Urbino. Illustratore e fumettista, è l’artista che ha disegnato la copertina dell’ultimo disco di Godblesscomputers, Solchi, terzo tassello di un percorso di ricerca musicale dell’artista bolognese che disco dopo disco esplora nuovi panorami musicali nascosti nei solchi dei vinili che ascolta e campiona per poi mixare in una musica fatta di synth analogici, kalimbe, chitarre jazz, scratch, campioni e voci evanescenti.
Come definiresti il tuo stile?
Dovrei farlo a parole, ma non sono capace. Sono una spugna, mi piace assorbire tutto quello che leggo, guardo, ascolto e mangio per assimilarlo e sputarlo fuori disegnando tutto il giorno.
Chi ti ispira nel tuo lavoro?
Prima di tutto i miei amici. Senza di loro sarei un idiota. Quasi tutte le cose più belle che conosco me le hanno consigliate, non ci sono inciampato.
Mi piacciono molto i fumetti strani, facendoli io stesso, ad esempio le cose che pubblicano editori come Eris, Breakdown, Lagon, Koyama, Fantagraphics, Coconino, d+q, Retrofit, Canicola, 2dcloud ed altri.
Leggo sempre Manuele Fior, che è il più bravo di tutti. Mi attrae il dialogo tra il fumetto e le pratiche artistiche contemporanee. Uso molto il linguaggio delle mappe e della geografia, la lettura degli spazi, ed è colpa di Chris Ware, Tullio Pericoli, Saul Steinberg, Broomberg & Chanarin, Richard McGuire ma anche di certo cinema come Werner Herzog, Denis Villeneuve, Béla Tarr, che sanno far recitare i paesaggi, oppure di alcune visioni distruttive sull’arte pubblica o di strada, quella radicale di Momo, Ekta, Horfee, Erosie, che mi portano verso altre suggestioni ancora, come Cy Twombly, John Baldessari, Sol LeWitt. Tendo sempre a divagare in questo modo, un lavoro bello porta ad un altro ancora migliore, è divertente anche perché non si finisce mai. Qui sto saltando un mucchio di roba per non trasformare l’intervista in un’agonia.
Comunque il discorso diventa ancora più fertile se ci metti in mezzo la letteratura: mentre lavoravo a Solchi leggevo Fredrik Sjöberg, James Joyce, Herman Bang, Stefano D’Arrigo e Lydia Davis.
Sull’animazione ho una triade imprescindibile di riferimenti che sono Gianluigi Toccafondo, Fabio Tonetto e David OReilly. Guarda caso tutti e tre non sono animatori ‘puri’, Toccafondo fa pittura, teatro, libri, Tonetto è un grande character designer, fa delle sculture di fimo stupende, è uno dei migliori dialoghisti nonché il massimo esperto di grappa tra i giovani autori italiani di fumetto, OReilly è passato dall’animare corti a realizzare videogiochi, ed il suo ultimo lavoro, Everything, è una cosa immensa che ha avuto un’influenza che travalica un po’ questi discorsi “professionali”. Se comincio a parlare di musica ti tengo un giorno intero! Facciamo prima se dai un’occhiata a questa playlist che mi son fatto durante l’estate, da tenere mentre lavoravo.
Comunque in realtà mi piacerebbe essere più bravo a togliermi questa fame continua di guardare sentire e vedere cose, farmi influenzare di più anche dal riposo o dal vuoto, ci sto lavorando.
Com’è nata la collaborazione con Godblesscomputers?
Lorenzo ed io ci siamo conosciuti ad Urbino. Nella scuola in cui studiavo c’è un giardino pensile in cui lui è venuto a fare un DJ set per la festa di fine anno e mi sono divertito come un bradipo. Dopo ci siamo incrociati di nuovo in giro: prima in Puglia, poi a Bologna. Mentre Lorenzo lavorava a Solchi io pubblicavo il mio primo corto animato, per un brano di Urali, e la sua prima reazione nel vederlo è stata “fammene uno per il mio prossimo disco!”. Da lì è stato un continuo di incontri in studio, io disegnavo, Lorenzo suonava e venivano idee su idee. A quel punto mi ha chiesto di allargare il campo e lavorare anche sul progetto grafico del disco, che si è a sua volta allargato: abbiamo preparato anche i visual da proiettare live, il merch, il materiale per i social. In pratica si è trasformato spontaneamente in un progetto di art direction, anche se sempre a quattro mani, il contributo di Lorenzo non è mai venuto meno.
Com’è stato dare volto ad un progetto musicale?
È curioso che parli di volto perché è un argomento centrale in questo progetto. Godblesscomputers in altre interviste ha detto spesso di voler essere il meno presente possibile nei suoi dischi a livello umano, lasciando che sia la musica parlare. Non gli interessa costruirsi un personaggio o un brand, ed infatti la sua faccia nel disco non c’è, l’abbiamo tolta, e anche nella fotografia all’interno è nascosto tra i disegni ed un bicchiere di birra.
Nel disco ci sono molte voci, ma non sono mai la sua. Lo trovo un approccio ammirevole, soprattutto per un artista al suo livello che ha già raggiunto riconoscimenti importanti e potrebbe facilmente accalappiare audience buttandola un po’ in caciara su Facebook e Instagram. Mi è sembrato coerente adottare un’etica simile, non ho appiccicato sul disco dei miei lavori personali seguendo il mio gusto ma ho prima di tutto cercato di capire con Lorenzo come immaginare al meglio il disco. Non ho mai finito di chiedere feedback, di ascoltare il disco, di capire da dove venissero le suggestioni che hanno generato la musica in modo da non banalizzarle, da non produrre didascalie.
Plush and Safe era un disco che viveva molto di un istante emotivo, tant’è che funziona benissimo quella polaroid in copertina, visto che non c’è medium più istantaneo ma anche unico di una polaroid. Non puoi fare copie di una polaroid. Solchi invece è un disco che parla di memorie, c’è meno immediatezza, più pensiero, più contrasti, meno sentire e più capire, infatti spazia molto di più tra suoni diversi, ed è molto più suonato che programmato. Per me è un disco di luoghi, mentali o emotivi quanto vuoi, ma comunque posti in cui si può tornare, che si possono visitare, esplorare: è quasi un tentativo di mappatura.
Tutto questo ha nutrito il mio lavoro ed ha portato anche me in posti inediti, il che è la più grande soddisfazione che potessi cercare in un lavoro simile. Se si rimane chiusi in un recinto, cosa che si rischia facilmente quando si lavora con il disegno e si è ansiosi, il massimo che si riesce a fare è girare in cerchio.
Copertina migliore di sempre?
Qualche tempo fa ho deciso che le classifiche sono il male e non ho più le cose preferite, o cose da portare sull’isola deserta, quindi ti farò anche qui un elenco confuso e noioso. L’intero progetto di art direction di Björk è stupendo in tutta la sua evoluzione, soprattutto negli ultimi anni, da quando oltre a M/M lavorano con lei anche James Merry e Andrew Thomas Huang. Kanye West da My Beautiful Dark Twisted Fantasy, con la serie di dipinti di George Condo, non ne ha sbagliato uno. La Hydra Head Records faceva molti dischi belli sotto la guida di Aaron Turner. I dischi che escono dalla fucina di Hotel2Tango sono meravigliosi, dai Godspeed You! Black Emperor a Carla Bozulich. Un’altra collaborazione da seguire è quella tra Ben Frost, Richard Mosse e Trevor Tweeten.
In Italia mi piace moltissimo tutto quello che Scarful ha fatto con gli Zu, i lavori di Daniele Castellano per Urali, Lantern ed altri, l’intero progetto C’mon Tigre, quello molto rigoroso della Die Schachtel e quello sovversivo di Maple Death. I lavori di Kim Hiorthøy per la Rune Grammofon ed altre etichette sono uno più bello dell’altro, ed un ottimo esempio di come si può coniugare personalità e dialogo con i dischi.
Mi piacciono anche progetti di ampio respiro ma allo stesso tempo sobri e precisi, ad esempio tutta la Raster-Noton con Carsten Nicolai, o la Touch con le fotografie di Jon Wozencroft.