In Architettura, la quasi totalità delle volte, si osserva e si studia il progetto edificato e raramente ci si interroga sulla fase “embrionale” di questo, cioè quando il progetto è ancora nascente, abbozzato su carta o su qualsiasi supporto che non ne mostri le reali volumetrie.
Se è vero che non perché il seme è piccolo merita meno attenzione dell’albero, allora non perché l’idea generatrice di un’architettura è meno ingombrante di un edificio costruito, merita meno considerazione! Bruno Munari sosteneva che l’albero è l’esplosione lentissima di un seme e similmente ritengo che in architettura l’opera ultimata è la deflagrazione lentissima e turbinosa di idee.
Contenitore di nuovi e fertili “semi” di architettura è il Concorso Periferie bandito dal MIBAC che quest’anno è giunto alla seconda edizione e merita attenzione perché ha permesso a 10 progettisti under 35 di esprimersi su altrettante aree periferiche selezionate attraverso un bando aperto a tutti i comuni d’Italia. Il 30 novembre 2017, sul sito ufficiale, sono state pubblicate le graduatorie con i relativi vincitori.
I gruppi primi nella graduatoria di ciascuna area, riceveranno un importo monetario e l’affidamento dell’incarico per l’approfondimento delle successive fasi progettuali dal comune di pertinenza.
Poiché il mondo dell’architettura, e non solo, è affamato di concorsi “virtuosi” abbiamo scelto di osservare da vicino alcuni dei progetti vincitori individuando alcune aree del Sud Italia: Napoli Municipio 6, Barletta e Tricarico.
Abbiamo interrogato i gruppi vincitori di queste aree per capire la loro la spinta ad agire e le loro riflessioni sui rispettivi casi di progetto.
La vostra idea di riqualificazione d’area parte dall’intento di cancellare un passato ormai “morto” o di costruire con esso un forte legame?
N) È possibile far dialogare due brani di città fino ad oggi pensati in maniera separata, creando nuove possibilità di aggregazione collettiva e ripristinando un’antica relazione tra la città e il mare? Da questa domanda siamo partiti per indagare, con un approccio compositivo contemporaneo, una tematica architettonica tanto interessante quanto complessa. L’intento principale è quello di recuperare la relazione tra la città e il mare, instaurando un senso di permeabilità diffusa nel contesto litoraneo e dandone una maggiore riconoscibilità sia dal lato urbano che dal lato marino. La proposta compositiva mira a produrre uno spazio aperto integrato alla città, come elemento qualificante di un processo più ampio di ricucitura morfologica, dotato di una forte identità. Si genera così un continuum capace di riprendere e valorizzare quelle relazioni negate e allo stesso tempo favorire rapporti di comunità, creare punti di aggregazione, mettere in comunicazione i quotidiani flussi del tessuto urbano con quelli del turismo, riavvicinando il quartiere alla linea del mare.
B) La scelta di intervenire in quest’area e l’idea di riqualificazione parte da una stretta connessione che c’è col luogo di progetto e con il passato che lo ha caratterizzato. Non è un caso che durante la fase progettuale il primo passo sia stata l’analisi di alcune testimonianze e foto storiche, che sono state l’incipit per le scelte effettuate in secondo tempo. È forte il legame col passato e la volontà di partire da questo per ideare un progetto che sia strettamente connesso alla memoria storica del posto, che sia appunto rievocata ma non risulti una banale copia, bensì un’evoluzione al passo con i tempi e le necessità di chi fruisce questi luoghi.
T) Il concept di progetto è il giusto compromesso contemporaneo per un territorio ricco di storia, cultura rurale e maturità progettuale.
L’idea di progetto nasce dal paesaggio, dalle caratteristiche identitarie di quel contesto, immaginando un recupero funzionale, urbano, agricolo e sociale delle aree di versante, capace di rispondere anche ad una necessità che è quella del consolidamento strutturale delle parti del versante stesso.
La combinazione tra idea di progetto, esigenze collettive, strutturali e funzionali e richieste del bando Periferie del MiBACT ha generato un pensiero di progetto che si configura attraverso un mix di strategie, valorizzando e potenziando le micro-economie locali senza imporsi sul paesaggio ma dialogando con esso, registrandone le possibili trasformazioni configurative e codificandone le regole in modo da instaurare, in maniera intima, una forte continuità tra passato e futuro.
Pensate che il vostro progetto, sia che venga realizzato sia che resti su carta, possa resistere al tempo o ha una data di scadenza così come è evidente nello stato di fatto delle aree che avete riprogettato? Sino a quando potrà essere una soluzione funzionale?
N) Abbiamo ipotizzato un sistema flessibile alle diverse necessità sociali che ridisegna una passeggiata lungomare, con un’unica azione, una linea, che attraversa e collega i tre lotti. Il tema della passeggiata viene interpretato come elemento unificante, che attraverso azioni progettuali leggere mira alla ricucitura dei sistemi esistenti di spazio pubblico e alla creazione di nuove situazioni spaziali. La linea della passeggiata si fa strada sulla piattaforma dell’ex depuratore e, con l’obiettivo di un recupero ambientale di quest’ultima, ci si è indirizzati verso un duplice intervento di mix funzionale ad alta attrattività: la riproposizione sul fronte costiero dell’ambito balneare con un sistema di fitodepurazione dell’acqua marina e la riconversione delle retrostanti vasche di depurazione, con un programma di sviluppo per un Polo Acquatico e Culturale, valorizzando l’aspetto iconico del luogo.
B) Il passato che ha visto e vissuto Barletta, con le sue testimonianze, risalenti allo scorso secolo, è stato il nostro punto di partenza. Potremmo quindi affermare che il nostro progetto sia nato non solo come citazione temporale, bensì come un progetto nato per durare, in sintonia, con quelli che sono stati i cambiamenti che l’area ha subito, e che ancora subirà. D’altronde Calvino ne “Le città invisibili” ha scritto “la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee di una mano, scritto negli spigoli delle vie…” . Infatti le proposte progettuali effettuate hanno un più ampio respiro, e non riguardano esclusivamente l’area; il ragionamento che ci ha guidati è stato relativo all’intero centro storico. La riduzione del traffico su gomma e il conseguente cambiamento della viabilità interessata, ha senza ombra di dubbio una visione lungimirante e al passo con le richieste attuali e future, in cui ci sarà il totale abbandono del mezzo su gomma, almeno in queste aree, allo scopo di restituire la città a chi la vive.
T) Un progetto attento al contesto, un progetto che lavora per assonanze con il territorio, un progetto che si allinea al ritmo dei sistemi del paesaggio e della storia che trova, eredita e metabolizza, in chiave contemporanea, e resiste al tempo. In ogni caso parliamo di un intervento pronto ad adattarsi alle esigenze funzionali e strutturanti urbane, con un solo “limite”: rispettare il “tempo di costruzione del paesaggio naturale”, una temporalità differente da quella concorsuale, amministrativa, procedurale.
Per una valida riqualificazione ritenete che abbia più importanza valorizzare l’ambiente antropizzato o l’ambiente naturale? Questa idea è esplicitata nel vostro progetto?
N) L’intervento attribuisce una grande rilevanza al ruolo dello spazio pubblico, sia antropizzato che naturale, inserendosi all’interno di un più ampio piano di mobilità ciclo pedonale lungo la litoranea est di Napoli. Lo spazio pubblico attualmente frammentato in ambiti indipendenti e privi di connessioni, viene trattato come sintesi tra due realtà. L’apertura di quest’ultimo verso il mare è stata pensata in due punti strategici, enfatizzando due aree preesistenti già una con una forte connotazione spaziale pubblica, implementando, quindi, le relazioni trasversali sull’asse lineare costiero: l’estensione della Piazza Giambattista Pacichelli a nord e slargo di Vico I Marina a Due Palazzi a sud. Il calibro di tale intervento urbanistico è necessario per permettere il recupero del rapporto tra il quartiere e la costa con una flessione diretta dello spazio pubblico verso il litorale. Attraverso le due finestre urbane sul mare, sottostante il rilevato della ferrovia, si riafferma l’imprescindibilità dell’accessibilità fisica e visiva dello spazio pubblico.
B)Per una valida riqualificazione riteniamo che ci debba essere un giusto equilibrio tra le parti. La città è composta in primo luogo da aree antropizzate ma anche da aree dominate da una naturalità spontanea o progettata che sia. La giusta progettazione crediamo parta dalla volontà di riqualificare l’ambiente antropizzato ricorrendo all’ambiente naturale, bilanciando entrambi, così come si evince dal progetto. Abbiamo tentato di proporre una riqualificazione dell’ambiente antropizzato, ponendo l’accento sulla qualità e la fruibilità dello spazio a disposizione, quindi valorizzandolo, come si può vedere nel progetto della piazza della Marina, nel sagrato della chiesa e nello spazio di interconnessione tra le Corti del Gusto. Quest’ultimo ad esempio, definisce il termine dell’area a verde alla base delle mura interclusa tra Paraticchio e Corti del Gusto; nel verde progettato si insinua il sistema costruttivo più antico: il trilite, che a sua volta connette l’area più antropizzata: la piazza con il parco.
T) Il nostro progetto mette in relazione una sequenza di episodi ambientali tra lo spazio pubblico collettivo del tessuto urbano e le aree degli “orti urbani”.
Senza una visione sinergica unitaria tra le parti, non è possibile immaginare il destino credibile di un contesto così sensibile, che possa perdurare nel tempo.
Città, storia, natura, cultura locale, paesaggio e futuro sono i materiali progettuali e gli obiettivi culturali del nostro intervento.
C’è un aforisma di Snozzi che recita: “L’acquedotto vive nel momento in cui ha cessato di portare l’acqua” e con questa frase l’architetto ticinese dichiara che l’essenza dell’architettura non è la sua utilità. Il vostro intervento architettonico ha come essenza l’utilità?
N) Un altro aforisma di Snozzi recita: “L’architettura nasce dai bisogni reali, ma essa va al di là di essi se vuoi scoprirla, guarda le rovine”. Da sempre, tutto ciò che l’uomo ha innalzato, sin dal primo menhir, ha avuto o ha una sua utilitas ed anche l’acquedotto che ha cessato di portare acqua può essere uno spazio rivelatore di nuove opportunità. Abbiamo impostato i nuovi luoghi catalizzatori di collettività, considerando l’esigenza di valorizzare il lascito dell’archeologia industriale del sito. L’ex spazio industriale accoglie nuovi rituali quotidiani della vita cittadina di socialità. La mobilità lenta fino ad ora compressa, trova nuovi sedimi e visioni lungo tutta la fascia litoranea, forte della presenza dei due riconoscibili sbocchi sul mare in continuità con gli altri poli attrattivi preesistenti sulla costa est di Napoli, come il Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa che è stato messo a sistema con il Polo Acquatico e Culturale(PAC) attraverso un sistema di portali con modulo costante, una struttura leggera di facile realizzazione che si innesta sull’attuale muro di confine della ferrovia. La ripetizione di un modulo base, oltre ad inquadrare uno scorcio prospettico che non interrompe la visuale sul mare, sottolinea il percorso dedicato a pedoni e ciclisti e si presta ad accogliere un sistema di pannelli fotovoltaici alternati alla vegetazione rampicante. L’inserimento della vegetazione come elemento integrante la qualità spaziale urbana svolge sia un ruolo di mitigazione dalla presenza della ferrovia sia la funzione di dispositivi ombreggianti lungo l’ambito pedonale.
B) Si potrebbe dire che l’utilità dell’intervento era una prerogativa del concorso. In questo tipo di progetti, non si può considerare l’architettura come monumento autoreferenziale e fine a se stesso, non si può prescindere, quantomeno all’inizio dall’utilità. Solo l’ingresso nell’immaginario comune, diventando parte integrante del luogo che l’architettura abita, può rendere la non utilità l’essenza dell’intervento.
T) Noi crediamo che qualsiasi progetto abbia bisogno di una sua “utilità”.
Un progetto che non tenta di risolvere, in chiave innovativa, una determinata esigenza non è “contemporaneo” (nel senso che delinea Giorgio Agamben) e soprattutto non è “socialmente utile”.
Oggi bisogna sempre più recuperare quel sapiente senso progettuale tipico nell’epoca romana: un fertile connubio tra innovazione e tradizione. Ad esempio, gli “acquedotti” erano opere di vera ingegneria architettonica ed idraulica, erano progetti di paesaggio, erano infrastrutture capaci di mettere in campo le innovazioni culturali, costruttive, materiche ed architettoniche, ma soprattutto rispondevano ad una originaria esigenza funzionale, senza rinunciare ad essere una “buona Architettura”. Dopo il loro utilizzo nel tempo, oggi rimane la traccia della sapiente costruzione architettonica dell’uomo nel paesaggio. Erano progetti contemporanei!
Non crediamo alle visioni “romantiche” date dalle testimonianze della storia. Oggi grazie anche alla crisi strutturale che stiamo vivendo, ci sentiamo chiamati (per un senso etico della professione dell’Architetto) a “professare” un cambio di paradigma culturale ben differente dalla idea di Snozzi.
Nei nostri progetti, nelle sperimentazioni concorsuali che affiniamo per rispondere ai bandi e ai concorsi di architettura ed ingegneria, nei quali lo studio UNOAUNO è quotidianamente impegnato, cerchiamo di affinare e metabolizzare questa posizione di progetto. Il progetto, per noi, è contemporaneamente il fine e il mezzo
Queste idee sono semi, speriamo ora nei germogli, futuri alberi.