Furio Ganz è un artista visivo, fotografo e regista. Se segui il mondo della musica ti sarà sicuramente capitato di incappare in questo nome che, come un fil rouge all’interno della scena elettronica italiana, si accosta a quello di Populous, Wosai e Yakamoto Kotzuga.
Ed è proprio sulla collaborazione con quest’ultimo che ci concentreremo quest’oggi. Yakamoto Kotzuga, al secolo Giacomo Mazzucato, è un giovane musicista veneziano che, dopo il successo di Usually Nowhere, ha da poco pubblicato la sua seconda fatica, Slowly Fading. Furio ne ha curato l’artwork e diretto i due video: Until We Fade e Inner God.
Lo scorso 23 marzo è uscito Slowly Fading di Yakamoto Kotzuga, disco che segue la vostra omonima performance a La Biennale di Venezia del 2016. Quella che vi lega è una collaborazione proficua che ti ha portato alla realizzazione di visual, artwork e alla regia delle clip musicali. Facendo un bel salto all’indietro, come avete deciso di far cooperare le vostre arti?
Le prime idee di Slowly Fading sono nate appunto per la performance commissionataci da La Biennale Musica, abbiamo cominciato a lavorare sul tema dell’impermanenza, già precedentemente esplorato da Yakamoto Kotzuga con Usually Nowhere. Man mano che il progetto prendeva forma abbiamo capito che il lavoro sarebbe potuto diventare un album seguito da una serie di video; così dopo la performance al La Biennale abbiamo continuato a produrre visual, musica e idee.
Giacomo e io ci siamo conosciuti da ragazzi, già da prima del progetto Yakamoto Kotzuga, ognuno di noi ha portato avanti la propria ricerca. Abbiamo sempre tentato di unire i nostri lavori, ma il più delle volte le immagini sono nate dopo la musica.
Anche la copertina di Slowly Fading è opera tua. Ti va di parlarcene?
Mentre lavoravamo ai visual e alla musica per la performance a La Biennale abbiamo trovato uno spazio a Mestre che abbiamo trasformato nel nostro studio. Until we Fade e Inner God sono ambientati quasi completamente lì intorno, la foto di copertina è una delle location del video Inner God. Il telo, che nella foto è appoggiato sulla rete, ha una stampa di una specie di avatar digitale che accompagna Slowly Fading fin dalle prime idee.
Inizialmente la copertina doveva essere semplicemente il volto di questo personaggio, dopo invece, è stato inglobato nel mondo reale attraverso un telo, come se questa fosse la dimensione da dove proviene e dalla quale non può uscire, come se il telo stesso fosse un monitor o un device.
La luce rossa sulla finestra è il riflesso di un’insegna presente sull’edificio di fronte.
La foto è stata scattata prima del video, ma è stata scelta come ultima cosa prima dell’uscita dell’album con l’aggiunta una fascia di grafiche che accompagna anche le due copertine dei singoli.
Insieme a Matilde Sambo hai diretto Until We Fade e Inner God, i due video che ci hanno fatto assaporare le atmosfere e le sonorità di Slowly Fading. Video che ritraggono una Mestre diversa: atmosfere quasi espressioniste e inquadrature che strizzano l’occhio ad Antonioni e a tutta quell’arte contemporanea che ci ha fatto apprezzare le zone industriali. Inquietudine, incomunicabilità, ricerca spasmodica di comprendere una realtà che alla fine permane come incomprensibile: è di questo che ci parla il video? Tu sei un appassionato di cinema? Quali sono i tuoi riferimenti?
Abbiamo dato importanza alle zone attorno al nostro studio. Arrivando da Venezia c’è una zona industriale: uno spazio di grande cambiamento e produttività, pieno di edifici in costruzione e allo stesso tempo di luoghi abbandonati e lasciati alla natura. Penso che ciò abbia arricchito la nostra idea di impermanenza e continuo mutamento legata all’album.
Sono certamente appassionato di cinema ma i miei riferimenti vengono un po’ da ovunque: da ciò che mi circonda, dall’arte contemporanea dal web. Mi nutro di youtube, Instagram, vimeo, netflix…
In realtà il lavoro di Antonioni non lo conosco così profondamente da esserne influenzato, comunque non mi permetterei di fargli l’occhiolino.
Non penso di avere un approccio cinematografico al videoclip, il soggetto è solo una traccia dentro la quale muoversi durante il montaggio. In tutti i video, e anche in questo, molto è cambiato durante le riprese e la fase di montaggio. Per noi conta di più la scelta dei personaggi, le locations e il momento giusto in cui filmare.
Entrambi i video hanno un’estetica ricercata e ben definita, dove nemmeno l’abbigliamento sembra essere scelto a caso. Curiosando ho letto che gli stylist delle riprese sono i gemelli Nordio, stilisti di scuola IUAV e declamati a più voci come le promesse della moda italiana. È interessante che questa tua cura a tutto tondo dell’immagine che dai alla musica di Yakamoto Kotzuga si spinga fino al mondo della moda. La loro partecipazione ti ha aiutato ad arricchire le tue riprese? Moda, musica e immagine sono una triade inscindibile?
I gemelli Nordio sono stati assolutamente essenziali per il video. Penso abbiano un loro immaginario in mente che non riguarda solo i vestiti, lo apprezzo molto e cerco di rispettarlo. Eros, protagonista di entrambi i video, aveva fatto da modello per la loro sfilata allo IUAV, lo abbiamo incontrato lì. Giovanni e Gregorio, invece, avevano già curato i vestiti del primo video di Yakamoto, All These Things I Used To Have, ed erano stati impeccabili, attenti ai materiali con cui erano confezionati gli abiti che, in alcune occasioni, dovevano essere bagnati e trasparenti. Per i due video che presentano Slowly Fading, invece, hanno collezionato parte degli outfit da diverse persone come Alessandro Carpitella e Rafael Wolanowski e hanno fatto anche una piccola comparsa nelle riprese.
Infine, non penso che musica, immagine e moda siano una triade inscindibile però, per forza di cose, spesso convivono all’interno di un video e creano legami. Per questo penso sia una cosa da non lasciare al caso.
Dal momento che lavori nel veneziano, nasce spontaneo chiederti come vedi la Laguna, anche perché di Venezia si sente parlare solo per il Carnevale, i grandi eventi culturali brandizzati, l’acqua alta e le grandi navi. Cosa ne pensi di Venezia? È un ambiente stimolante? Esiste un sottobosco culturale sconosciuto agli occhi di chi arriva dalla terraferma?
Venezia è una città che ha i suoi tempi. Penso davvero sia diversa da qualunque altro posto. A volte c’è un sacco di gente e non si riesce nemmeno a passeggiare, altre volte, di notte o in alcune stagioni, è completamente deserta e cambia faccia. Non c’è un vero ‘sottobosco culturale’ secondo me, nella terra ferma penso ci sia molto più fermento in questo momento.
Domanda a bruciapelo: copertina migliore di sempre?
Tarkus di Emerson, Lake & Palmer
Quando ero bambino il cd era sempre in macchina di mio padre, più che la musica mi entusiasmavano le immagini che raffigurano tutte le parti della vita dell’armadillo / carrarmato. Anni dopo quando l’ho ritrovato su spotify, mi sono accorto che ricordavo bene tutti i sette movimenti del brano.