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“Non si può discendere due volte nelle stesso fiume”
diceva Eraclito nel suo trattato Sulla natura, fonte dell’aforisma filosofico del “Panta Rei”.
Da questo pensiero non sembra discostarsi il percorso artistico di Rubén Martín De Lucas, il pittore laureato in ingegneria civile che segue il fluire delle idee nella sua mente per creare opere dai molteplici linguaggi espressivi.
Alla continua ricerca di ispirazione e originali temi da indagare, l’artista spagnolo ha deciso di coniugare la sua vita artistica ai fenomeni sociali che insistono sul paesaggio, naturale o urbano, esprimendosi attraverso strumenti sempre differenti. Le conoscenze pratiche e teoriche divengono a servizio della sua poliedricità per comunicare al meglio il suo pensiero.
Non si può realizzare due volte la stessa opera, e neanche lo stesso progetto.
Vivendo di voli pindarici, il visual artist Martín de Lucas spazia dall’arte più concettuale alla fotografia più metodica.
La decisa e vivace espressione in pittura si alterna a fotografie più ragionate e precise che risvegliano i sensi della vista con forme rigorosamente ordinate e toni carichi al limite della finzione.
Il messaggio è continuamente diverso, lo studio, la preparazione, la realizzazione ancora di più. A volte istinto ed ingenuità guidano la sua mano libera da ogni portato teorico, altre, invece, l’ordine è così diligente da causare straniamento.
Interazione con la figura umana, campiture astratte, paesaggi, limiti, confini, linee e geometria. Le Forme e le conoscenze teoriche, lo studio e l’esperienza personale sono espressione di messaggi che contengono studi profondi e curiosità senza fine. Al pubblico non resta che lasciarsi guidare dalla carica emotiva che sprigionano le sue opere per comprenderne di riflesso le storie in continuo divenire.
Sei laureato in ingegneria civile. Quando e perchè sei diventato un visual artist?
Mi sono laureato in ingegneria civile nel 2001, ma mi dilettavo già con l’arte urbana dal 1995 quando ho iniziato a realizzare graffiti e murales. Dopo il diploma nel 2002 sono partito in India per un lungo viaggio durato quattro mesi con zaino in spalla. Quando sono tornato in Spagna mi sono dedicato all’arte per lavorare in studio e negli spazi pubblici. Ho lavorato nel collettivo Boa Mistura dal 2001 al 2015 per tutto il mondo. Ma nel 2015 con Mateo, l’arrivo del mio secondo figlio, ho deciso di abbandonare Boa Mistura per focalizzarmi sul mio lavoro e vedere mio figlio crescere. Così ho fissato una data d’inizio della mia carriera personale come artista nel Gennaio 2015.
La tua ricerca coinvolge fotografia, pittura, arte urbana. Quali temi studi in questi campi?
Io lavoro per progetto. Ogni progetto studia un argomento e lo sviluppa con un linguaggio specifico. Tutti sono uniti da una linea narrativa che racconta il territorio e la relazione che ha l’uomo con esso.
Progetti come “Stupid Borders”, che parla di confini, materializza nel paesaggio azioni filmate con il drone e pezzi concettuali su carta. È un set di lavori che empatizza la natura artificiale ed effimera dei bordi.
Altri come “La Traza Vacía” o “La linea Nuda”, parlano dell’antropizzazione del paesaggio e sono tradotti attraverso impressioni pittoriche. Per questo progetto, i territori sono stati scelti casualmente, all’interno della Penisola iberica, e dopo aver catturato e stampato una vista aerea di ogni luogo, le aree sotto l’influenza dell’uomo sono state coperte con della pittura nera. Il risultato è una serie in cui almeno il 70% della superficie totale è nera. Questo spiega il piccolo spazio che rimane per la natura in un mondo in cui la presenza dell’uomo si sta espandendo ovunque.
In questo modo potrei continuare progetto per progetto. Ognuno sviluppa un’idea e la traduce con un linguaggio che la comunichi al meglio.
Studi anche i fenomeni sociali…
Penso che tutti i miei lavori siano legati al comportamento sociale.
I tuoi dipinti sono una calma combinazione di campiture di colore con l’apparente casualità dei dipinti di Cw Towbly. Chi sono i tuoi modelli?
Parli dei dipinti del progetto “The Garden of Fukuoka”. Questo progetto è un tributo ai contadini giapponesi ed al filosofo Masanobu Fukuoka. Lui è il precursore dell’agricoltura naturale, una metodologia non interventista, in cui l’agricoltura cresce insieme al resto dell’ecosistema naturale che abita la superficie terrestre. Una filosofia basata sul “non fare”, che è,”non arare, non usare prodotti chimici, non potare, non rimuovere le erbacce, ecc …” e questo è in sintonia con quel “flusso“ tipico del Buddismo e del Taoismo.
Ho tradotto queste idee, attraverso la pittura, in due serie di lavori. La prima serie, i deserti, per rappresentare l’agricoltura industriale. Ci sono parti in cui lo stesso gesto è ripetuto su uno strato spesso di olio monocromatico. Rappresentano un pezzo di terra in cui solo un singolo pezzo cresce. Qualcosa che è lontano da qualsiasi ecosistema e dall’equilibrio naturale.
Nella seconda serie, giardini o frutteti selvatici: gesto e colore scorrono liberi, nello stesso modo in cui la vegetazione e la natura scorre. C’è un complesso e ricco equilibrio come in ogni ecosistema naturale. Per creare questi dipinti ho dovuto dimenticare tutto ciò che avevo imparato sulla pittura. Dimenticare la composizione, la rappresentazione, o gli schizzi preparatori. Solo lasciar scorrere. Sicuramente questi dipinti ricordano quello che dipingi dallo pancia, come Cy Twombly, ma si avvicinano molto più a quelli che non sono stati contaminati dalla rappresentazione: i bambini tra 2 e 4 anni. Spesso invidio la freschezza e l’assenza di paura quando colorano. Li ammiro. Credo che non riuscirò mai a dipingere in maniera così pura e spontanea come loro.
C’è una connessione tra fotografia e pittura?
Tutti i progetti sono legati dall’asse del territorio e il comportamento sociale.
Nei tuoi lavori possiamo trovare forme dai bordi assolutamente imprecisi a geometrie ordinate e razionali. Come passi dall’indefinito al definito e viceversa? C’è una precisione anche nell’imperfezione?
Quando voglio esprimere un’idea specifica o un concetto cerco di trovare il miglior modo per narrarlo. Questo spesso mi porta a geometrie pure disegnate nel paesaggio, a volte a dipinti completamente liberi da ogni legame, spesso a battere su un piatto di gesso macchiato e così via.
È l’idea che comanda. Il linguaggio è a servizio dell’idea.
Nelle tue opere si può percepire una tendenza alla classificazione, definizione, delimitazione: cos’è per te il limite?
Non credo nel limite, piuttosto lo indago.
Ogni limite non è reale. Sono tutte costruzioni della mente.
Un esempio: i confini tra nazioni. Non sono realtà oggettive. Sono solo entità costruite in un’immaginazione collettiva. Sono effimeri e artificiali, non reali.
Come descriveresti il tuo futuro?
Il futuro è sempre meravigliosamente incerto
Mi tiene vivo e sveglio.
E come definiresti il tuo futuro artistico? Stai sperimentando o studiando altri temi?
Ogni giorno sono sempre più attratto da progetti con azioni sul paesaggio.
Hanno un potente riflesso e quando atterrano come “opera d’arte” lo fanno in un modo molto sintetico e attraente.
Penso che abbiano un grande potenziale poetico.
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