11 dicembre 1980, nell’atmosfera conviviale di una casa in via di San Galdino a Milano suona “Stuck Inside of Mobile with the Memphis Blues Again”, riunito attorno a pensieri che macinano idee d’avanguardia c’è un gruppo di giovani architetti e designer: invitati da Ettore Sottsass, Michele De Lucchi, Aldo Cibic, Matteo Thun, Marco Zanini e Martine Bedin. In quella notte d’inverno nasce il movimento Memphis, il movimento che ha scosso l’idea di design e che continua ad influenzare e vivere ancora oggi.
È proprio dal testo di Bob Dylan che spunta l’idea del nome del gruppo, Memphis, suona bene in quei 50 metri quadri, tra quelle menti libere dalla tirannia del funzionale, del buon gusto minimal che aveva preceduto gli anni ’70.
Il gruppo debutta un anno dopo, nel 1981, quando i componenti si rincontrano per confrontarsi sulle proprie idee: un centinaio di proposte alimentano un discorso audace e saturo di colori che prende riferimenti dall’art déco e la pop-art, il kitsch degli anni ‘50 e da temi futuristi con rimandi alla vita quotidiana e la società di massa.
Costante presenza, la giornalista Barbara Radice che documenta i loro incontri a cui partecipano anche Alessandro Mendini, Andrea Branzi, Nathalie du Pasquier, Michael Graves, Hans Hollein, Arata Isozaki, Shirō Kuramata, Javier Mariscal e George Sowden.
L’indirizzo post-modern, con accezione post-punk dettata dal periodo, si rifà ad elementi classici ed elementi immaginari attraverso l’uso di materiali inusuali, la reinterpretazione di forme, elementi kitsch, motivi sgargianti e colori vivaci.
Le cromie fluo, le geometrie strambe, imprevedibili, i pattern leopardati segnano un’epoca: i ruggenti anni ’80. La sperimentazione regna sovrana: l’uso alternativo di materiali “cheap”, industriali, come il laminato, il vetro, la celluloide, i tubi al neon, la lamiera zincata segna l’identità di un movimento dal deciso tocco ironico e non convenzionale.
Memphis è sinonimo di unisex, audace, asimmetrico, bizzarro, radicale, sperimentale. Indagine sincera e provocatoria della normalità, esaltazione della banalità imperante nella civiltà consumistica.
“Memphis is everywhere”
“Una palestra mentale” afferma Matteo Thun dove la libertà del poter osare, rintracciando rigorosi momenti citazionistici che provengono dal passato, diventa la cifra che resta immutata e che continua a comunicare attraverso un linguaggio nuovo denso di continue interpretazioni e visioni, in tutti i campi. L’esportazione si manifesta nel mondo della grafica, dei mass media, della video-arte, dell’arte, della moda fino ad abitare le dimore di personaggi illustri come David Bowie, suo grande estimatore, o Karl Lagerfeld nella sua casa a Monte Carlo.
Studio-Azzurro immediatamente dopo il debutto, nel 1982, presenta Luci di Inganni, uno dei primi esperimenti di video-arte in dialogo aperto con gli oggetti luccicanti disegnati da Ettore Sottsass.
La dichiarazione della temporaneità del movimento è insita dal momento della sua creazione, Memphis nasce come fenomeno passeggero e fugace ma le idee fuori ogni schema e ogni tempo, persistono fino ad arrivare ai giorni nostri, dove il Bold Pattern sfila sulle passerelle di Missoni, Karl Lagerfeld e Christian Dior. Dove, in maniera trasversale, American Apparel chiama Nathalie Du Pasquier, artista tra le fondatrici del gruppo, per disegnare pattern e tessuti.
Nel 2015 Kartell realizza un’intera gamma di prodotti-tributo che Ettore Sottsass aveva progettato per l’azienda nel 2004.
Fino ad immergersi in installazioni site-specific o architetture, grazie alla giovane mente di Camille Walala, la designer che fa rivivere lo spirito Memphis con un’impronta ancora più giocosa e coraggiosa.
Qualcuno dice che Memphis sia tornato, forse non ci ha mai lasciato, forse nei nostri più remoti sogni, in galassie sperdute, Memphis è sempre esistito.