La dimensione domestica è quella che più di tutte, se non esclusivamente, abbiamo vissuto in questo periodo di lockdown. La noia è stata per la maggior parte di noi la compagna di questi mesi surreali, ma è proprio dalla noia e dalla crisi del momento che le menti creative riescono a trarre estro e ispirazione.
Tra queste menti vi è quella di Antilia, un progetto curatoriale spin-off del collettivo Profferlo Architecture, le cui mostre itineranti abitano, per limitati periodi di tempo, spazi da rigenerare.
La condizione di quarantena e distanziamento sociale forzato li ha spinti ad indagare e ripensare lo spazio domestico trasformandolo nel luogo performativo della nostra quotidianità. Da questa idea nasce la mostra “Don’t try this at home”.
“L’ intento è considerare la condizione di quarantena forzata come un campo di sperimentazione sulla soglia interno/esterno, la vita quotidiana e le aspettative del post-confinamento, la mancanza di contatto fisico, la crisi psicologica, l’informatizzazione della socialità.”
Hanno così invitato alcuni artisti provenienti da quattro continenti diversi ad esporre la loro ricerca artistica all’interno dello spazio di quarantena, trasformando lo spazio privato per eccellenza ad accogliere l’occhio indiscreto del visitatore.
Non potevamo non rivolgere alcune domande ai curatori della mostra, fruibile rigorosamente in modalità on-line sul sito www.antiliagallery.com e sui canali social Facebook ed Instagram.
Come è nato il progetto curatoriale per questa mostra e quali sono stati i criteri di selezione che vi hanno portato a scegliere le opere da esporre?
Don’t try this at home è nato dall’esigenza di contribuire in questo momento specifico alla promozione e diffusione dell’arte, seguendo il principio alla base del nostro progetto curatoriale: essere itineranti e interagire con il contesto che ci troviamo ad abitare con i nostri eventi. Per questa occasione la “location” della mostra si è diffusa nello spazio domestico di quarantena di artisti che vivono e lavorano a New York, Porto, Roma, Napoli, Andria, Seoul, Melbourne, Zoetermeer, Brno. A loro è stato chiesto di trasformare la propria dimensione privata in una nuova frontiera espositiva. Gli artisti che abbiamo individuato dovevano avere background molto diversi, dalla metropoli alla provincia italiana. Ci interessava capire se questa inedita condizione di limitazione spaziale avesse in qualche modo esercitato un livellamento dei linguaggi espressivi. Tutto sommato non si poteva che lavorare con objet trouvé, dare un significato diverso alle forme che popolano la nostra vita quotidiana.
Raccontateci qualche curiosità del “dietro le quinte” durante l’organizzazione della mostra.
Come ogni mostra che si rispetti, abbiamo voluto mantenere la tradizione dell’opening. Questa volta è stato meno convenzionale del solito: ancora non molto pratici degli ultimi sistemi di comunicazione social, abbiamo deciso di riunire tutti i partecipanti e tutto il pubblico interessato in una diretta Instagram. Alle ore 22 italiane noi di Antilia, attualmente in tre paesi diversi, abbiamo accolto con un brindisi tutti gli artisti, ognuno ad un orario differente della giornata festeggiando a suon di vino, tisana o tazza di caffè. L’occasione è stata interessante per scoprire il luogo in cui hanno allestito l’installazione site-specific e per creare un saluto corale tra tutti i partecipanti. Perciò è stato un momento di voyeurismo nel quale ci hanno mostrato la carta da parati installata dal nonno oppure qualche inquadratura un po’ mossa dovuta ai brindisi ripetuti.
Qual è la vostra visione per il mondo della cultura nell’era Covid-19? Avete già qualche nuovo progetto in cantiere?
La mostra è stato un modo per interrogarci su quello che sta succedendo ma anche su quello che sarà. In questo senso la nostra visione per il mondo della cultura vede e richiede un cambiamento che noi come generazione stavamo già avvertendo. Siamo abituati a lavorare e a pensare ai nostri progetti a distanza, perché il mondo del lavoro attualmente funziona così, e da questa necessità cerchiamo di trarre benefici. La possibilità di interagire e condividere le nostre idee con artisti, esperti, cultori da tutto il mondo, e far nascere collaborazioni virtuali che diventano progetti reali è per noi un privilegio importante. Oggi e in futuro dobbiamo sperimentare questo modo di operare: rendere la tecnologia e tutto il mondo virtuale uno strumento per realizzare un’interazione fruibile da tutti, nello stesso momento.
Il Covid-19 ha anche reso evidente l’importanza della solidarietà nella vita sociale, e che le diseguaglianze paradossalmente potrebbero amplificarsi dentro un sistema virtuale iperconnesso. I prossimi progetti non potranno che risentirne, ma siamo intenzionati a riprendere l’organizzazione di un workshop per la costruzione di un’opera di paesaggio in collaborazione con un artista giapponese.