La London Mastaba è stata l’ultima opera realizzata da Christo, una piramide tronca alta 20 metri lunga 40 e larga 30 che ha galleggiato in mezzo al Serpentine Lake, nel cuore di Hyde Park a Londra, dal 19 giugno al 9 settembre 2018. Era formata da 7.506 barili di petrolio sostenuti da un ponteggio fissato ad una zattera di parallelepipedi in polietilene che doveva reggere le oltre 600 tonnellate di peso. I barili, colorati di rosso, bianco, blu e malva, erano assemblati in modo che le superfici, grazie all’effetto di pixelatura, vibravano alla luce creando nell’acqua riflessi scintillanti di grande impatto visivo.
Scrivere del genio di Christo, che ci ha lasciato il 31 maggio 2020 a New York, e della moglie Jeanne-Claude – nome d’arte di Jeanne-Claude Denat de Guillebon nata a Casablanca nel 1935 e scomparsa nel 2009 a New York – presuppone e rende quasi d’obbligo elencare una serie di dati tecnici e numeri da capogiro che hanno reso le loro opere, molte realizzate e tante rimaste nel cassetto, dei perfetti miracoli di ingegnosità creativa al limite dell’impossibile.
Ma il vero progetto per una colossale mastaba, la tomba a forma tronco-piramidale della civiltà egizia, è The Mastaba per Abu Dhabi concepita nel 1977 e mai realizzata, un’opera monumentale di 150 metri di altezza che doveva sorgere ad Al Gharbia, vicino all’oasi di Liwa. Nel 1979 Christo e Jeanne-Claude visitarono per la prima volta l’Emirato e stabilirono già i colori – un vero tripudio di arancione, giallo brillante, rosa e marrone chiaro, verde erba, bianco avorio, blu cobalto, rosso vermiglio e verde pastello – e il posizionamento dei 410.000 barili poggianti su una base di 300 metri per 200, mentre la superficie superiore era di 28.500 metri quadri. Per la futura realizzazione nulla veniva lasciato al caso, così vennero contattati docenti universitari di ingegneria di tutto il mondo, da Zurigo, Cambridge, Tokyo e Urbana–Champaign nell’Illinois.
Pensare che tutto era iniziato con una Bottiglia impacchettata, l’opera che Christo realizza nel 1958 appena giunto a Parigi dopo aver studiato a Sofia – all’Accademia di Belle Arti dove sua madre era segretaria – Praga e Vienna. Christo Vladimirov Javacheff era nato nel 1935 a Gabrovo, piccolo paese della Bulgaria, e iniziò a guadagnarsi da vivere a Parigi facendo ritratti che allora firmava con il cognome. Aveva ventitré anni e già vedeva nell’impacchettamento un mezzo per approfondire la conoscenza degli oggetti analizzando materiali e forme, un anticipatore del Nouveau réalisme, il movimento fondato pochi anni dopo a cui aderì nel 1963.
Quella bottiglia non visibile e truccata con tessuto, corda, lacca, vernice, sabbia ci ricorda L’enigma di Isidore Ducasse di Man Ray dove una tela di sacco strettamente legata nasconde un oggetto. Era il 1920, il tempo del dadaismo.
“L’oggetto, anche se umile, può essere elevato ad opera d’arte”, asserzione che convinceva Christo e anche gli artisti della Pop Art.
L’anno di svolta della sua vita e della sua arte è il 1958 quando incontra Jeanne-Claude che gli commissiona un ritratto della madre. Un segno del destino essere nati tutti e due il 13 giugno 1935 ed essere arrivati a Parigi nello stesso anno? Non possiamo confermarlo, certamente quell’incontro fortunato racchiude la fatalità di un inevitabile comune destino artistico.
Iniziarono a lavorare con i barili di petrolio, un materiale facile da recuperare, poco costoso ma resistente e duraturo e li accatastavano nello studio di Parigi a Gentily, sperimentando nuove combinazioni e assemblaggi. Il 27 giugno del 1962 inaugurarono la loro prima grande opera, il Rideau de Fer, un muro di barili di benzina e olio per automobili alto 4 metri che bloccava rue Visconti, vicino alla Senna, una “cortina di ferro” in segno di protesta contro il muro di Berlino. Christo e Jeanne-Claude presentarono l’installazione con una serie di dati tecnici e queste parole sarcasticamente ironiche:
“Questo Rideau de fer può essere utilizzata come diga durante un periodo di lavori pubblici o può essere utilizzata per trasformare permanentemente una strada in una senza uscita. Infine, il suo principio può estendersi a un intero distretto, persino a un’intera città.”
Nel 1964 emigrano negli Stati Uniti dove la vera natura della loro arte – che li ha resi i più significativi rappresentanti della Land Art e famosi per i loro “impaccaggi” di celebri edifici pubblici – trova spazi ideali. Diventeranno opere d’arte di grandissimo impatto visivo, territoriale ed emotivo ma saranno sempre opere transitorie, volatili e fugacemente irreali che trasformeranno il reale in immaginario. L’immaginario di due artisti che sempre sono riusciti a renderlo reale.
Per Christo e Jeanne-Claude nulla sembra impossibile, questo forse è il filo rosso di amore, studio, tenacia, ricerca e quel pizzico di grandiosa follia che li ha profondamente legati tutta la vita per realizzare l’irrealizzabile. Una progettualità maniacale e incredibilmente dettagliata, una ricerca paziente, che durava anche decenni, che subiva frequenti interruzioni per motivi burocratici, tecnici, legali, territoriali e mille altri problemi che inevitabilmente possono sorgere per concretizzare spettacolari progetti e realizzare opere di inaudita maestosità.
Nel 1966 realizzano a Minneapolis 42.390 Cubic Feet Package con la collaborazione di 147 studenti della locale Minneapolis School of Art, un progetto di packaging di grandi proporzioni, l’opera più voluminosa realizzata sino a quel momento. Gli studenti riempirono il grande involucro, assicurato con 914 metri di corda, di 2.800 palloncini colorati che volteggiavano, grazie al flusso d’aria costante, dentro quegli strati di polietilene trasparente che rifletteva i colori mutanti del giorno. La notte gli studenti facevano la guardia a quello strano dirigibile gonfiato con 42.390 piedi cubi di aria.
Wrapped Kunsthalle, il museo di Berna impacchettato e scartato dopo una settimana nel luglio del 1968 per celebrare il suo cinquantesimo anniversario, aveva acquistato un’aura leggiadra di classicità lontana dalla sua prosaica realtà un po’ lugubre. Sempre nel 1968 il primo progetto di Christo e Jeanne-Claude realizzato in Italia: Wrapped Fountain e Wrapped Medieval Tower. Invitati al festival dei Due Mondi di Spoleto decisero di impacchettare il Fortilizio dei Mulini e la fontana di piazza del Mercato. Nel 1973 – ‘74 Wrapped Roman Wall, i quattro archi di Porta Pinciana nel tratto delle antiche Mura Aureliane tra Villa Borghese e via Veneto. Quattro giorni di impacchettamento sotto gli occhi rassegnati e smaliziati dei romani convinti che il Comune stesse effettuando opere di restauro…
Effetti stranianti di antichi monumenti che divengono nuove architetture.
Il Reichstag impacchettato è il più famoso degli impacchettamenti realizzato grazie alla tenacia di Christo e Jeanne-Claude perché trascorsero 24 anni dall’ideazione all’esecuzione, dal 1971 al 1995. Come tutti i progetti venne interamente finanziato attraverso la vendita dei disegni e degli studi preparatori di Christo. La sede del parlamento tedesco divenne un fantastico voluminoso oggetto argentato avviluppato, in quattordici giorni, con centomila metri quadri di tessuto di polipropilene e 15 chilometri di corda. Gli artisti lo presentarono con semplici parole sulla fugacità delle opere umane:
“Il tessuto, come i vestiti o la pelle, è fragile: traduce la qualità unica della transitorietà”.
Sono trascorsi 36 anni da quella Bottiglia impacchettata.
28 mesi per completare il progetto per la spettacolare Valley Curtain e 28 le ore che l’opera riuscì a resistere al forte vento. Era il 10 agosto del 1972 quando un team di oltre cento persone montò un’enorme tenda arancione di 18.600 metri quadri tra due catene montuose a Rifle, nel Colorado, assicurando con 27 funi il tessuto, sospeso ad un’altezza di 111 metri agli estremi e a 55 metri nel centro. Un effetto sorprendente, un incredibile sipario teatrale, la natura da ammirare che recitava su di un palcoscenico monumentale che solo Christo e Jeanne-Claude avevano potuto immaginare e saputo realizzare.
The Gates, un altro famoso intervento di Land Art immaginato nel 1979 e realizzato nel 2005, riuscì a trasformare letteralmente Central Park a New York con l’installazione di 7.503 pannelli di tessuto color zafferano, alti quasi cinque metri e distanziati di 3,65 metri l’uno dall’altro. Un fiume dorato che scorreva tra gli alberi ormai spogli del parco, una scenografia mozzafiato perennemente in movimento, mossa dal vento freddo di un febbraio newyorkese.
Surrounded Islands, 1980 – 1983, undici isole nella baia di Biscayne, di fronte a Miami, circondate da 603.870 metri quadri di tessuto in polipropilene galleggiante rosa sgargiante in contrasto con la vegetazione tropicale, il cielo e le acque della baia ma in pendant con il colore dei fenicotteri tipici della Florida; The Umbrellas l’unica opera realizzata in due paesi contemporaneamente, gli Stati Uniti e il Giappone, per evidenziare differenze e similitudini. Anche qui numeri da capogiro: il 9 ottobre 1991 3.100 ombrelli, alti 6 metri, furono posizionati simultaneamente nei pressi del passo di Tejon in California e a Ibaraki:
“Gli ombrelli furono posizionati in modo intimo, vicini l’uno all’altro e a volte posizionati in modo che seguissero la geometria dei campi di riso. Nella lussureggiante vegetazione annaffiata dall’acqua tutto l’anno, gli ombrelli erano blu. Nella vastità dei terreni da pascolo non coltivati della California, la configurazione degli ombrelli era bizzarra e si spandeva in ogni direzione. Le colline marroni erano coperte da erba bionda. In quel paesaggio secco, gli ombrelli erano gialli”.
The Floating Piers. Dal 18 giugno al 3 luglio del 2016 circa 1,5 milioni di persone camminarono sulle acque, un’esperienza indimenticabile. La più grande passerella galleggiante realizzata da Christo, ma pensata insieme a Jeanne-Claude già negli anni settanta, collegava la riva bresciana del Lago d’Iseo con l’isola Montisola e la piccola isola di San Paolo. Centomila metri quadri di tessuto giallo per realizzare un sogno a lungo custodito, un nastro giallo che pare un miraggio, un’illusione colorata di realtà, un dono di Christo e Jeanne-Claude.
Ma Christo e Jeanne-Claude ci hanno lasciato in eredità un altro sogno che verrà realizzato da noi per loro: l’Arco di Trionfo di Parigi verrà ricoperto da 25.000 metri quadri di polipropilene argentato venato di azzurro, corde rosso rubino lo legheranno perché il vento non se lo porti via. Così l’hanno pensato e così Christo l’ha disegnato.