La instazine malapartecafé è apparsa sugli schermi dei nostri cellulari ormai da qualche mese. Salta subito all’occhio: una presenza insolita, colorata e tutta da scoprire, capace di piegare ad un uso inedito il classico feed di Instagram. Si tratta di una rivista che ha trovato un modo singolare per raccontare l’architettura e i suoi protagonisti: possiamo dire che malapartecafé sia una zine tutta da scrollare, post dopo post, intrigante, divertente, stuzzicante e anche un po’ irriverente dove, a interviste e contributi esterni, vengono affiancati dei ricercati (e mai banali) “repost” che aiutano a restituire la sfaccettata e a volte assurda galassia che ruota attorno al mondo dell’architettura. Incuriositi, abbiamo deciso di fare qualche domanda a Ilaria Caraffi, Emanuele Crovetto e Federica Giannelli, le menti dietro a malapartecafé, per scoprire così qualcosa di più su di loro e il loro progetto.
Classica domanda per rompere il ghiaccio: quando è nato malapartecafé e con quali presupposti? Come si è evoluto il vostro progetto e che direzione sta prendendo?
Emanuele: …per fare un po’ di gossip!
Malapartecafé è nato a Genova durante il mio primo anno di università. Era il nome di un gruppo WhatsApp che aprimmo (Io, Livio, Stefano e Alessio ndr) per affrontare il laboratorio di progettazione. L’origine del nome è legata ad una memorabile lezione su casa Malaparte che Valter Scelsi, allora nostro professore, tenne per… ben due volte di seguito! Ma questa è un’altra storia…
Erano gli anni in cui la reazione alle immagini iperrealistiche dei render trovava sempre maggiori consensi, KooZArch era un punto di riferimento e, noi, eravamo affascinati dalla ricerca che stava dietro alla rappresentazione del progetto di architettura.
Disegnavamo in continuazione e, ad un certo punto, fu naturale aprire una pagina web dove caricare tutte le immagini che producevamo. Nacque una pagina su Tumblr: lì stava nascendo un nuovo modo di veicolare la cultura architettonica, libero dalla polvere delle aule accademiche. Su Tumblr trovavi i blog di Andrew Kovacs (Archive of Affinities), Jeff Kaplon (Subtilitas) e soprattutto quello del nostro Valter Scelsi (A List of Analogies).
Poi sono successe tante cose… la formazione del gruppo è cambiata e con essa pure la direzione della ricerca. Il nostro interesse si è lentamente spostato dalla costruzione di immagini di architettura alla disseminazione delle stesse nel variegato mondo dei social network. Così, circa due anni fa, insieme a Ilaria e Federica abbiamo iniziato un nuovo capitolo di malapartecafé, trasformando il nostro account Instagram in un magazine.
Quando avete capito che malapartecafé doveva diventare anche una rivista e perché avete scelto di utilizzare Instagram come medium? Un dettaglio non da poco visto che vi ha spinti poi ad usare questo mezzo in modo curioso e anche un po’ controcorrente: siamo abituati a vedere le pagine sui social media come un “amo da pesca” utilizzato dalle riviste, dagli studi d’architettura e dai brand per rimandare ai loro siti o prodotti…
TEAM: Malapartecafé come magazine non voleva essere l’ennesima operazione nostalgia. Siamo sostenitori delle riviste indipendenti su carta e consapevoli della loro importanza, tuttavia riteniamo che il loro valore più grande oggi sia la carica romantica. Noi volevamo davvero essere radicali, non soltanto fare uso della mitologia radicale.
Volevamo fondare una rivista che parlasse di social media, non soltanto su internet, ma attraverso i social media stessi. È stato proprio ciò che dici tu ad averci convinto ad utilizzare Instagram come medium: riviste, studi d’architettura, brand e così via, si servono dei social media prevalentemente come spazio pubblicitario. Ci sembrava riduttivo. I social media, con il loro potenziale comunicativo immenso, relegati a semplice mezzo per targetizzare l’utente e reindirizzarlo altrove: al link in bio.
Così ci siamo chiesti: perché continuare a pensare ai social media come strumento di marketing, insieme di dati per conoscere il pubblico che legge i tuoi articoli, quando possono essere essi stessi il supporto sul quale scrivere gli articoli?
Uno degli elementi principali della nostra ricerca è sempre stato quello di evidenziare, tramite i nostri progetti, le contraddizioni che ci circondano. Ecco, questa ci sembrava particolarmente interessante.
Ragionando con un format insolito e con pochi esempi da cui trarre ispirazione, come avete deciso di impostare la vostra rivista?
TEAM: Come dicevamo prima, volevamo fondare una rivista che parlasse di social media attraverso i social media. L’architettura della rivista nasce, di conseguenza, dal tentativo di traslare i codici propri di ogni magazine – cartaceo o web che sia – nel formato di un social media: Instagram.
È stato un lavoro molto lungo, ma altrettanto stimolante; in un certo senso ha avuto a che fare con la pratica del collage.
Abbiamo, infatti, selezionato di volta in volta gli elementi del linguaggio del magazine tradizionale e abbiamo cercato di farli combaciare con gli elementi del profilo social. Alla fine, il risultato non è stato soltanto la rivista che potete leggere nel profilo @malapartecafé, ma la definizione di un vero e proprio modello di rivista.
Perché secondo voi anche l’architettura, quella scritta e raccontata, deve allinearsi alla rapidità della comunicazione di Instagram? C’è realmente bisogno di portare il discorso sull’architettura alla velocità del doppio tap?
TEAM: Ogni rivoluzione nel mondo della comunicazione è stata accompagnata da timori e additata di essere portatrice di povertà in campo culturale. Noi riteniamo queste critiche noiose e figlie di una mentalità chiusa. I social media, esattamente come la stampa, la radio, la televisione, il web, sono un mezzo di comunicazione. Il mezzo di comunicazione di per sé non ha connotati negativi: è neutrale. Nessun mezzo di comunicazione potrà mai sostituirsi completamente a quelli che lo hanno preceduto e questa è la ragione per cui la carta stampata non è sparita dopo l’avvento di Internet.
Per cui ben venga il discorso sull’architettura alla velocità del doppio tap: non moriranno le conferenze e neppure i libri a causa di qualche profilo social.
Parlare di teoria dell’architettura fuori da aule universitarie, libri e riviste istituzionalizzate è un po’ come camminare sulle uova: secondo voi è possibile fare teoria anche attraverso canali considerati spesso, passatemi l’etichetta, “non convenzionali”?
Emanuele: Assolutamente sì. La teoria dell’architettura evolve, non possiamo definire tale solo quella istituzionalizzata o riconosciuta (da chi poi?). Ti faccio un esempio: io ritengo Ryan Scavnicky (@sssscavvvv) uno dei più interessanti teorici di architettura attivi oggi. Sì, pubblica meme.
Ilaria: Concordo! Personalmente penso che l’utilizzo dei canali “non convenzionali” sia un grande valore aggiunto per un mondo che troppo spesso sa di naftalina. Quindi, ben vengano pubblicazioni sul retro di un volantino del kebabbaro o negli spazi pubblicitari della città.
Federica: Sì, eccoci (con modestia). Non siamo gli unici. Sono gli stessi professori degli ambienti istituzionali ad aprire pagine Instagram (e farci dei meme) a loro volta.
View this post on Instagram@ateliersjeannouvel killin the game
A post shared by Ryan Scavnicky (@sssscavvvv) on
Secondo voi il fenomeno dei cosiddetti influencer è arrivato anche nel mondo dell’architettura? Social e realtà vanno a braccetto o quello che vediamo e apprezziamo sui social con un like o un follow è lontano dalla realtà?
E: La parola influencer è un’etichetta. Al riguardo, una risposta che mi sento di condividere è quella che ci ha dato Adam Nathaniel Furman attraverso i post della nostra rivista:
“It is a word that is used in architecture to dismiss and denigrate the efforts and work of certain people simply because of the medium they choose to present that work in, rather than engaging with the work and content itself. Using the word negatively tends to be a mark of intellectual laziness, a way to dismiss a very complex subject out of hand and feel clever simply through that act of dismissal. I would instead say that some accounts are curators, others editors, still others poets, some critics, and a few philosophers. To take it as a positive term, I would say that all media influences those who consume it, and all those who are eloquent in their mediums of choice, whether that be an academic journal, a comic, a drawing or instagram, are influencers.”
I: Per rispondere alla domanda bisognerebbe definire il confine tra reale e social. Credo che quanto sia reale o social conti relativamente, conta il tipo di percezione del reale che i social riescono a darci e come come ci relazioniamo ad essa.
Chi vi segue da diverso tempo sa che la rivista malapartecafé non è il solo progetto in cui investite le vostre energie: avete già in programma qualcosa per il futuro?
E: Laurearmi!
I: Vedi sopra: ebbene sì, anche noi dobbiamo sottostare al mondo accademico. Sic!
F: Sì e poi imparare l’inglese così ci esterofilizziamo.