Quante poesie, opere letterarie, canzoni e amori sono nati davanti ad un caffè in un bar? I bar sono luoghi universali, scriveva Iris Murdoch, ed è nel loro essere luoghi di tutti e di nessuno, serendipity dell’umanità, che si fanno deposito invisibile ed effimero della storia di chi li attraversa. Mary Cinque, artista campana e viaggiatrice di nascita, nei bar e nella magia del caffè ha riposto grande parte della sua arte. Amante delle storie nate per caso, colte con uno sguardo sfuggente o attento tra la gente, l’artista, che ha esplorato Etiopia, Stati Uniti, Europa ed oggi vive ad Agerola, fa dello spazio pubblico e del pubblico la sua più grande musa ispiratrice. Storie quotidiane e comuni, che si rivelano allo stesso tempo le più profonde e sincere, sono la scintilla che accende le opere realizzate spesso su carta con pastelli ad olio. In questa intervista, Mary Cinque racconta la sua arte e svela anche un po’ della sua quotidianità illuminata dal chiarore terso di un mattino che accende i fiori e i colori della città.
Mary Cinque è una degli artisti proposti da Artwort Gallery.
Nata in Italia, hai vissuto per un certo tempo anche in Etiopia e viaggiato negli Stati Uniti e in Europa. Dove ti trovi ora e qual è il tuo studio? Ti piace lavorare in un’unica postazione o ti piace errare?
Dalla fine del 2019 vivo ad Agerola, dove ho anche il mio studio. Sono fortunata che questo trasferimento sia capitato in una fase della mia vita dove desidero un po’ di stabilità per processare questi ultimi anni; per trasformare in arte gli ultimi viaggi. Ciò detto, io mi nutro del nuovo e del diverso, di ciò che non mi aspetto; non dò mai nulla per scontato, quindi presto so che avrò bisogno di nuovi stimoli.
Ultimo libro letto.
“A Room of One’s Own”, di Virginia Woolf. L’avevo già letto in Italiano anni fa, ma è stato bellissimo rileggerlo nella versione inglese che mi ha mandato un mio amico da Londra (insieme a altri 11 kg di libri inglesi usati, che mi aiutano a sentirmi ancora vicina alla città che mi rimarrà sempre nel cuore).
I soggetti delle tue opere ritraggono scene di vita quotidiana tratte al supermercato o ad un bar. Sono frutto della tua immaginazione o della tua osservazione? Qual è la scena più emozionante a cui ti è capitato di assistere?
Amo la realtà, e parto sempre da essa, per cui le scene che vedete nelle mie opere sono sempre scene realmente accadute.
Cerco la bellezza nelle cose banali, di ogni giorno, non mi attirano le cose eccezionali o ritenute inconsuete; mi emozionano gli incontri casuali di certi colori, per esempio.
Routine della mattina.
L’inizio della giornata è inconcepibile senza il rito del caffè. Sono la prima ad alzarmi e, dopo essermi lavata i denti, vado in cucina, accendo la radio su Radio 3, bevo un bicchiere di kefir e comincio a “caricare” la Bialetti. In solitudine mi godo l’odore del caffè macinato, e poi il suo profumo, quando il caffè comincia a “uscire”. Poi metto la tazza accanto alla scodella della colazione, continuo a bearmi del suo aroma mentre mangio, per poi berlo alla fine, il più delle volte in piedi sulla terrazza.
Sono diventata ossessionata col caffè paradossalmente da quando mi sono trasferita a Londra, una città dove c’è una grande attenzione per esso. Ciò mi ha portato a riflettere sul mio passato in Etiopia (da cui provengono molti caffè), il mio legame con Napoli, e il mio amore per le culture anglofone come quelle del Regno Unito e degli Stati Uniti d’America.
Anche quando vivevo a Londra avevo questa abitudine, bevendolo nel piccolo backyard, anche quando faceva freddino. Bere il caffè all’aperto è un piccolo grande lusso che mi piace regalarmi ogni volta che posso. Il caffè è un tema ricorrente nella mia ricerca e nella mia opera “Bunna is ready”, dedicata al passato, presente e futuro di questa coltivazione e dei riti a essa associati. L’opera è stata esposta presso la Los Angeles Artists Association, in occasione della mostra “On The edge of History” curata da Cynthia Penna di Art 1307. Al momento sto ampliando la mia ricerca sul tema concentrandomi, stavolta, sulle implicazioni sociali, storiche e politiche legate al caffè. Sono stata sempre sollecitata da Cynthia Penna, per un’altra mostra collettiva che si terrà a Los Angeles nel 2023 dal titolo Dark Harvest, in collaborazione con Mark Greenfield e Mika Cho alla RONALD H. SILVERMAN FINE ARTS GALLERY della California State University di Los Angeles.
Come detto nella precedente domanda le tue ambientazioni sono esterne, spesso luoghi pubblici. Come è cambiata la tua arte durante questo periodo più obbligato alla “chiusura” nella propria abitazione? Qual è stata la tua reazione dal punto di vista artistico?
Dico spesso che il lockdown è stato il mio personale art retreat, poiché è avvenuto pochi mesi dopo che ci eravamo trasferiti in Italia da Londra, e mi ha dato l’occasione di potermi concentrare sulla mia arte e su tutti gli stimoli raccolti nei precedenti tre anni trascorsi a Londra e con piccoli viaggi in California per le mostre di cui sopra e per la prima Saatchi Other Art Fair. È stato perfetto. Vorrei che durasse ancora, poiché non ho ancora finito di esplorare tutto, sento che non ho ancora trasformato e portato su carta o tela tutto ciò che è stata Londra per me. Ma questa è la mia vita artistica, il tempo non sembra essere mai abbastanza, sono in una continua rincorsa. Conservo ancora foto di palazzi italiani che vorrei ritrarre nei miei quadri, ma non trovo mai il tempo! Il lockdown è stata anche una fantastica occasione per mostrare il mio lavoro in mostre collettive on line, come “Don’t try this at home“, curata da Antilia gallery, una importante mostra per riflettere su come questo periodo a casa abbia influito sulla pratica artistica e sul modo di fruire l’arte.
Se dovessi abbinare una colonna sonora alla tua arte quale sceglieresti?
Uh! Quanta musica posso scegliere? Clash, Verve, Soundgarden, Pearl Jam, Smashing Pumpkins, Kooks. L’intera colonna sonora di “Sex education” in questi mesi è spesso in sottofondo mentre creo. A volte ascolto anche la colonna sonora di “Call me by your name“. Sarà perché spesso ascolto i film invece di guardarli, e mi innamoro delle musiche legate ai film.
Assaggi d’arte: raccontaci questo progetto che stai sviluppando sui social e cosa ti affascina dei pastelli ad olio.
È un’iniziativa nata grazie alla pandemia. Mio cugino Matteo Cinque (Moving è il nome della sua azienda), che è anche un amico e spesso ha realizzato le mie foto-ritratto e i filmati in cui mostro il mio processo creativo, si è trovato con un po’ più di tempo libero del solito e mi ha proposto di riprendermi mentre parlavo della mia arte. Siamo partiti e abbiamo presto capito che potevamo farne una piccola serie dove rivelavo degli accorgimenti per usare pastelli a olio, la mia tecnica preferita degli ultimi anni. Come racconto in uno di questi video, i pastelli a olio li ho scoperti grazie a un workshop presso l’Adidas Fitness Studio in Brick Lane (non si può mai dire, eh?!) e, grazie al sostengo di Francesco Sciucchetti della galleria Palue in Pontresina (dove ho tenuto una mostra collettiva e una mostra personale), ho continuato a usarli per anni, fino a oggi. Insomma è una tecnica che non avrei mai sospettato di amare e che invece si è rivelata a me molto consona. Mi piace che l’approccio sia quello del disegno, il momento in cui più mi identifico, ma che il risultato finale abbia qualcosa di pittorico, dovuto alla matericità propria dell’olio; mi piace che ci sia dello spessore alla fine, delle sfumature che si vengono a creare quasi indipendentemente dalla mia volontà. Il caso è una componente importante del mio processo. Agire sul caso è ciò che cerco sempre di fare quando creo.
La tua idea di libertà.
Essere padroni del proprio tempo.
I tuoi disegni sembrano schizzi buttati giù in pochi minuti. È davvero così? Come si delinea il tuo processo creativo?
Molto spesso sì, sono schizzi veloci, e più sono veloci più mi soddisfano, ma non cerco il virtuosismo. Mi viene sempre in mente la causa Whistler – Ruskin dove, alla domanda: “Oh, due giorni! È, dunque, per due giorni di lavoro che chiede duecento ghinee!” Whistler rispose: “No, le chiedo per il sapere accumulato in tutta la vita”. Insomma, ci vogliono anni per realizzare un’opera in pochi minuti. Ho un paio di modalità parallele: o uso pastelli a olio Sennelier e pennarelli Tombow Dual Brush per realizzare opere d’arte dal vivo, on the spot; oppure scatto delle fotografie che poi guardo sullo schermo del computer e da cui realizzo tanto dipinti (acrilici o più raramente olii su tela) o pastelli a olio su carta o tela.
Oltre ai pastelli ad olio che tecniche ti piace sperimentare?
Mi piace indugiare a lungo su una tecnica quindi non desidero cambiare per adesso, sento che devo ancora capire molto dei pastelli a olio e continuerò a praticarli e a studiarli. Ho anche degli inchiostri colorati che ho comprato a Londra forse poco proprio di comprare i pastelli a olio (e non ricordo nemmeno perché!) e che ho usato una sola volta per fare un disegno ispirato a una scena vista al Barbican centre (uno dei miei edifici preferiti, a cui ho dedicato anche il mio primo acrilico su tela realizzato a Londra). Prima o poi vorrei usarli con costanza per scoprire se fanno al caso mio o no. Recentemente alterno i pastelli a olio a opere realizzate digitalmente col software Photoshop, come si è visto nella recente mostra on line curata da pasquale Ruocco al Museo FRaC di Baronissi con Gutenberg Edizioni.
La tua idea di futuro.
Non so perché ma non sono mai stata capace di immaginare il futuro né di fare programmi a lungo termine. Così come non mi piace rivangare il passato. Per me non esiste momento migliore del presente e me lo sto godendo tutto.