Il Tudela Culip era un resort vacanziero del Club Med che dagli anni ’60, ogni estate, ospitava 900 turisti a Cap de Ceus (Capo delle Croci), una località sulla costa della Spagna sud-orientale, in Catalogna, a circa 25 chilometri dal confine con la Francia.
Il sito, che leggenda narra fosse stato creato da Ercole, è poco distante da Figueres, città natale di Salvador Dalì, il quale ne trasse ispirazione per la raffigurazione di alcune sue opere ̶ tra le quali il notissimo “Il Grande Masturbatore” ̶ e lo definì come “un posto mitologico, fatto da Dei piuttosto che da uomini, e dovrebbe restare così com’è”.
Di fatto l’uomo non ha tardato a violare la miticità del luogo, intaccandolo con un villaggio turistico ed adempiendo così allo stesso infausto destino che profana innumerevoli patrimoni naturali del Mediterraneo.
Ma nel 1998 a Cap de Creus venne fortunatamente assegnato lo status di area naturale protetta, cui seguirono, pochi anni dopo, la chiusura del resort e l’avvio di una strategia di recupero delle caratteristiche naturali del luogo, il cui progetto venne affidato ad un team composto da più di 50 figure, coordinate dagli studi EMF di Martì Franch e J/T Ardèvol.
Il progetto, che ha impiegato un approccio volto a svelare nuovamente l’essenza del luogo e a modificarne solo occasionalmente i connotati, consiste nella realizzazione di un percorso paesaggistico.
In primo luogo sono state estirpate tutte le piante tropicali infestanti che erano state introdotte artificialmente nell’area, poi sono stati demoliti gli squadrati bungalow di cemento armato in stile razionalista che costituivano il villaggio, i cui detriti sono stati riciclati al 100% come materiale di costruzione o per il riempimento e la ricostituzione della costa. Alle opere di demolizione dei fabbricati sono succeduti il ripristino delle dinamiche dell’ecosistema, sia per quanto riguarda la topografia sia per il rinfoltimento della macchia mediterranea, grazie a campagne di raccolta di semi sul luogo stesso, e infine la modellazione del percorso paesaggistico vero e proprio, definito in seguito ad un’attenta analisi delle potenzialità da valorizzare.
La camminata si articola in una gerarchia composta da tre percorsi differenziati:
-il percorso principale, in asfalto, a tratti sovrapposto a resti delle stradine preesistenti o amalgamato alle rocce che affiorano qui e lì;
-il percorso secondario, in cemento, che indirizza verso le vedute più suggestive;
-il percorso “selvaggio”, realizzato con semplici barre d’acciaio che corrono lungo gli speroni rocciosi, permettendo un’arrampicata agevole verso i punti di maggiore interesse.
Tudela Culip torna così a vivere nel mito attraverso una promenade esperienziale, che pone l’accento sulle bellezze intrinseche di questo paesaggio costiero incuneato nella roccia, pur sfruttando materiali emblematici dell’artificio umano come il cemento e l’asfalto. La buona riuscita del progetto sta infatti nell’approccio minimalista con cui questi materiali sono stati trattati, tale per cui si insinuano come una traccia silenziosa nell’ambiente. Alla consistenza brulla del suolo si contrappongono le linee nette delle installazioni in acciaio corten che, richiamando alla mente un Richard Serra nel deserto, in alcuni punti danno ritmo allo spazio, in altri diventano linguette applicate sull’asfalto del percorso per identificare la vista su rocce dalle forme bizzarre, in altri ancora creano stazionamenti per viste panoramiche, come nel caso dei due grandi cubi che sorgono sul basamento di due precedenti cubi del villaggio, dei quali il cemento a intonaco bianco scrostato è stato sostituito con l’essenziale, quasi “imperituro” corten, che elegantemente dialoga con la Natura del luogo.