Artwort ospita in esclusiva la serie completa de Le vie del Sur America di Massimiliano Cafagna. Da Bogotà a Buenos Aires, dal 24 Giugno al 22 Ottobre 2015, l’architetto pugliese ha visitato centinaia di angoli del Sud America con solo uno zaino e la macchina fotografica. “Quello che colpisce è la vastità dell’oceano, le dimensioni dilatate dei paesaggi naturali”, mi dice. “La costa ha una misura davvero imponente rispetto al suolo urbanizzato della città. E’ un luogo di lavoro, ricreativo e di contemplazione. Ero sempre in grado di scorgere un orizzonte naturale. Non si percepiscono i limiti del campo visivo, tanto che la vista periferica risulta ancora “piena” di paesaggio. Non è semplice focalizzarsi sugli soggetti che lo abitano perchè risultano sempre troppo piccoli per ritenersi significativi”. A questo punto si ferma e mi confessa: “spesso ero troppo emozionato. Non riuscivo a fotografare perchè volevo assolutamente appropriarmi di quegli attimi, non potevo dividere quelle senzazioni”, ho un déjà vu, mi sembrano esattamente le parole che Sean Penn pronuncia nel film (sottovalutato) I sogni segreti di Walter Mitty. Nella pellicola un fotografo perde l’occasione d’immortalare il rarissimo leopardo delle nevi, perchè “certe volte non scatto, se mi piace il momento, piace a me, a me soltanto, non amo avere la distrazione dell’obbiettivo, voglio solo restarci, dentro” dice.
Torniamo alle vie del Sur America, un elemento fondamentale del paesaggio, solo sottinteso nelle foto, è il vento che “detta la costruzione delle città”. Massimiliano riesce nella difficile impresa di rendere la potenza di questo agente atmosferico così come la potenza dell’acqua, di comunicare il movimento con un’istantanea. “La chiamano cascata del diavolo perchè l’uomo non è mai riuscito a controllare la sua forza”, allora gli chiedo di questo rapporto fra le infrastrutture e la natura: “sono degli elementi che lo segnano fortemente. Al contempo ne sono in armonia, vengono quasi metabolizzati. Diventano un percorso per le persone del luogo e i viandati, come quello, nelle foto, che mi ha portato a Machu Picchu. Un ponte in acciaio che unisce due pezzi di paradiso”.
Tra le foto c’è una piazza con una statua religiosa nel suo centro, come se quello spazio fosse nato per contenerla. Chiedo a Massimiliano quale sia il rapporto del luogo con la religione. “La religione è quacosa di tangibile, un afflato di speranza e riscatto. Esistono anche diverse declinazioni della religione; c’è una istituzionale e una di cattolicesimo “autoctono”. La Madonna ha un vestito triangolare che ricorda la montagna, come Madre Terra, e nelle chiese ci sono molti specchi. Non è un peccato di vanità”. “Come ti sei confrontato con i primi piani?”, gli chiedo. “Ho incontrato e fotografato volti e occhi sinceri, molti scavati dalla fatica, una miriade di persone mi hanno offerto ospitalità. Non saprei neanche contarli”. Quando accenno alle condizioni del viaggio, trova difficile sintetizzarlo in poche parole. “Ho viaggiato con tutti i climi, fino a -18°C, e si può viaggiare anche per 24 ore senza incontrare alcun segno di vita”, le distanze dilatate di cui parlava.
Le città fotografate sono quasi deserte, uggiose, un’idea diversa del Sud America che solitamente si veicola. “Ci sono forti contrasti sociali, specialmente a Medellin e Buenos Aires. Condizioni economiche diametralmente opposte, ma una cosa mi ha colpito: i cinema sono convenzionati dallo stato, tutti possono permetterselo, così vedevo questi luoghi pullulare di vita. Un rito collettivo autentico per tutte le età al quale nessuno voleva rinunciare”. Una scelta coraggiosa ma lungimirante. Massimiliano mi conferma che in questi luoghi si vive una sorta di complesso d’inferiorità verso il Nord America, che “paradossalmente ne ha sfruttato le materie prime. Ma a Buenos Aires ho capito che la terra è la principale fonte di guadagno ed ognuno è felice di poter coltivare il proprio appezzamento. Ho assistito a molte proteste, contro il governo, per ottenere il diritto all’autosostentamento. Questo popolo argentino non è sopito! Lotta quotidianamente, non si arrende, ha saputo liberarsi da ogni dittatura”.
Concludo con una curiosità che ho maturato dal primo istante che ho guardato le foto: “perché il tuo Sud America è in bianco e nero?”. Silenzio. “Volevo soffermarmi sulla luce, le ombre e i contrasti unici che si creano in Sud America. Durante i miei viaggi ho invece colorato, con i miei pastelli a cera, pagine di un diario che portavo con me. Una pagina per ogni paesaggio che attraversavo”. Massimiliano ha spogliato le sue foto dei colori del Sud America per liberarli su un foglio bianco, come se avesse intrappolato una tassonomia fatta di campioni d’ambra fossile. La prima pagina, quella verde e azzuro, l’ha disegnata all’inizio del suo viaggio, nella Colombia del nord. Quella rossa sintetizza la costa del Perù, quella su fondo blu la Isla del Sol in Bolivia.
L’itinerario de Le vie del Sur America:
Bogotà > Santa Marta > Cartegena > Medellín > Cali > Salento > Otavalo > Quito > Cuenca > Mancora > Lima > Cuzco > Arequipa > Copacabana > La Paz > Sucre > Potosi > Salta > Cordoba > Rosario > Buenos Aires > Colonia de Sacramento > Montevideo > Buenos Aires.