Gli onirici mondi sospesi di Francesco Romoli ci lasciano così, senza fiato, librati in un equilibrio precario a valutare sensazioni ed emozioni nell’osservare paesaggi dipinti di finti colori. Tingeranno futuri cosmi fluttuanti nel nulla? Forse. Ammaliati da tanta fantasia e dai molti riferimenti a immagini che ritroviamo nella nostra memoria ci addentriamo guardinghi e silenziosi in quegli universi. Siamo impauriti perché avvolti da vibrazioni sconosciute e il timore di macchiarci con quei colori, rovinandoli, ci fa procedere in punta dei piedi. Ci avviciniamo con passi felpati su quel selciato gommoso che attutisce i rumori dell’unico organismo vivente, il nostro. Ma la tentazione di toccare è troppo forte e la mano scorre su quella tovaglia di marmo dell’Emilio’s Ristorante Italiano dove nessun cibo ha mai saziato nessuno.
Entriamo. Le parole non dette della donna appiciccata al vetro, imbalsamata e attonita nel suo sguardo dagli occhi dilatati, ci ronzano nel cervello. Procediamo in quello spazio claustrofobico a due dimensioni, come nel mondo piatto di Flatlandia. Ci insinuiamo nella stanza in disfacimento di quell’uomo silente sferzato di luce apocalittica che prefigura la sua fine, ma fuggiamo non riuscendo più a respirare.
È un viaggio tra immagini pregnanti di attese infinite e sospese, tutti aspettano qualcuno o qualcosa per tornare o ripartire, ma la linfa della vita si è raggelata e ci vorrebbe un sole vero per scioglierla.
Romoli, fotografo che lavora molto con la grafica digitale, ha elaborato un mix di fotografia still-life e manipolazione grafica in quest’ultimo lavoro, una serie di fotografie che sono forse l’unica possibile e coerente evoluzione delle sue opere precedenti. Così infatti aveva scritto per le sue imaginary towns:
“Ruined buildings, lost in some desert beyond reality.Reflections of what was. Characters living in houses that no longer exist. A world cast beyond the frontiers of our own, where the adventures of fragile beings, who ignore why they were born, are shared. Beings for whom two thousand years will not be enough time to grow.”
I suoi mondi sospesi sono visioni da conservare, da collezionare come figurine per giocare scommettendo sul possibile vincitore: la casa che vola come quella di Carl Fredricksen in Up o l’inquietante castello avvinghiato alla montagna che ricorda il delittuoso monastero del Nome della rosa?
Tutto è possibile nelle immagini inventate da Francesco Romoli, perfino ricoprire quegli universi allarmanti sotto una coltre di neve per alleviare affanni e assopire animosi quesiti.Silhouettes di alberi rinsecchiti testimoni di flebili abbracci di un uomo e una donna che si credono innamorati, seduti sugli scalini di quella villetta raffigurante i canoni di esistenze felici ma qui immortalata nell’attimo dell’effimera quiete che precede il risucchio verso mondi sospesi.
È tutto talmente vero da sembrare finto o è tutto talmente finto da sembrare vero?
Come ha scritto Romoli per le sue dark city:
“Dark City is disturbing, just as disturbing as losing touch with reality,
when differences emerge quickly, points of reference collapse in on themselves, and the certainty of doubt is all that remains.”
Riflessioni sulla transitorietà delle cose.Francesco Romoli nasce a Pisa nel 1977 e inizia giovanissimo a studiare chitarra e teoria musicale, si innamora di computer, lavora su hacking e net-art. Laureato in informatica nel 2004 inizia a usare Photoshop per le sue creazioni tra progettazione grafica e fotografia. Frequenta la Fondazione Studio Marangoni, centro della fotografia contemporanea di Firenze, ma non tralascia le altre sue passioni: paracadutismo e viaggi.