Jordi Huisman è nato ad Almere in Olanda nel 1982. Dopo aver conseguito la laurea triennale in Ingegneria, Design & Innovation, ha frequentato il KABK: Royal Academy of Art a L’Aia per studiare fotografia. Ha lavorato come fotografo freelance dal 2005 per riviste, magazine, studi di progettazione, architetti e agenzie commerciali. Può annoverare nel suo curriculum anche vari lavori documentaristici, soprattutto per quanto riguarda l’analisi della tensione tra uomo, natura e tecnologia.
La sua ultima serie, Outline, è incentrata sulla zona ora conosciuta come la provincia di Flevoland che, tra gli anni 50 e 60, è stata recuperata dal lago artificiale IJsselmeer. Essa è ora circondata da una grande diga che si trova a cinque metri sotto il livello dell’acqua e che forma un profilo elevato, proteggendo la terra dalle inondazioni.
Gli scatti ritraggono Flevoland e il suo profilo essenziale, mostrando come la vita, le infrastrutture e la natura siano cambiate in seguito alla creazione di un polder dopo che l’ex golfo di Zuiderzee è stato prosciugato e bonificato in parte. Outline è un lavoro molto interessante di analisi del rapporto uomo-natura, lo scopo è quello di indagare come le forme del genere umano, gli artefatti e i vari fattori connessi interagiscano con l’ambiente circostante. Il progetto mostra un pezzo di terra che non sarebbe lì se non per la volontà dell’uomo; una sorta di battaglia contro la natura che porta a dei risultati che nel migliore dei casi sanno di vittoria amara, mai completa. Sono foto riflessive, lente, che per stessa ammissione dell’autore servono a descrivere un paesaggio lasciando in chi guarda un senso di altrove talmente forte da annullare qualsiasi riferimento geografico: la malinconica solitudine di Flevoland diventa la malinconica solitudine di qualsiasi posto creato forzatamente, senza armonia con il resto e per questo avvertibile come altro rispetto al contesto.
Ad inizio anno ci aveva invece presentato un’altra serie, Rear Window, in cui Huisman si concentrava sulle finestre sul retro degli edifici nelle varie capitali europee.
“When a new building block is designed and built as a single structure and concept it acquires a uniformity and alignment; in older cities a much more fragmented and spontaneous architecture emerges. This architectural informality is in direct contrast with the facade of a building, which is much more aware of its appearance”.
I vari scatti, sia singoli che presi ed analizzati nella loro totalità, possiedono un’intimità familiare difficilmente riscontrabile in queste tipologie di foto e vanno a delineare un incontro dove dimensione pubblica e privata sinergizzano in armonia.
L’interno è pensato per l’ambiente esterno e visto dal punto di vista dello spettatore; il tutto diventa non solo un’istantanea che fa percepire la staticità del presente, ma anche un modo per analizzare come le persone influenzino l’ambiente circostante attraverso piccoli accorgimenti (un assaggio di quello che avrebbe poi analizzato ampiamente in Outline).
Si sviluppa quindi quel desiderio di vedere ciò che non è visibile: Huisman guarda col suo obiettivo questi edifici che a loro volta sembrano, assieme agli ignari abitanti, guardare fuori, guardarsi le spalle. Un incontro con uno sguardo altro, diverso, speculare: chi è fuori prova a sbirciare all’interno, chi è dentro scruta l’esterno. Questo scambio di sguardi metaforico è avvolto in foto chiare che mettono in risalto la luce proveniente da questi edifici che, seppur estranei, diventano familiari, rassicuranti. Un caldo abbraccio avvolge gli occhi dell’osservatore che si ritrova a sfogliare gli scatti e perdersi nelle vite degli altri senza accorgersi del tempo che passa.